Recensione: Handful of Stars

Di Emanuele Calderone - 21 Novembre 2010 - 0:00
Handful of Stars
Band: Drudkh
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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65

Stacanovisti del black metal europeo (ben 8 full-length e due ep in otto anni), i Drudkh si riaffacciano, a poco più di un anno dalla pubblicazione del precedente “Microcosmos”, sul mercato discografico con il nuovo “Handful Of Stars”.
Considerato unanimamente un piccolo capolavoro del black atmosferico, “Microcosmos” ci aveva mostrato come la band ucraina godesse di ottima salute. Alla luce di ciò, le aspettative attorno a quest’ultimo parto erano decisamente alte, soprattutto per via delle scelte stilistiche adottate nel corso della carriera, che si sono dimostrate sempre azzeccate.

Quest’opera rappresenta un ulteriore cambio di direzione nella carriera del quartetto, che continua ad allontanarsi dal concetto di black metal puro, in favore di un approccio più simile a quello adottato da band quali Agalloch e Alcest. Pur partendo da una base estrema, i ragazzi inseriscono all’interno della propria musica numerose influenze: il nuovo sound presenta un maggiore ricorso a parti acustiche, stacchi che richiamano alla mente il post-rock e, non ultimi, si incontrano non pochi rimandi al progressive.
Ciò che rimane invece delle precedenti release è qualche accenno folk (invero piuttosto rari) e poche sfuriate di stampo estremo.
Per il resto il gruppo sembra aver perso alcuni di quei caratteri che avevano reso il loro sound così originale e riconoscibile all’interno dell’intero panorama metal. Mancano le atmosfere da brividi che avevano caratterizzato capolavori quali “Microcosmos” e “Blood in our Wells”, così come manca quel senso di contatto con la natura. Non si riescono altresì a scorgere quelle intuizioni musicali che hanno reso grande il loro nome.
I brani paiono decisamente più scarichi e, pur senza essere sgradevoli, si perdono in passaggi a vuoto e soluzioni che sanno terribilmente di già sentito. Ciò che sopratutto non si avverte più nel sound è quel pathos che emergeva in pezzi quali “Decadence”, “When the Flame Turns to Ashes” o ancora “Eternal Turn of the Wheel”.
Sono pochi accordi di piano ad introdurre “Handful of Stars”. “Cold Landscapes”, questo il titolo scelto per l’intro, sembra non discostarsi molto da quell’approccio musicale decadente marchio di fabbrica del combo di Kharkiv. E’ però con la successiva “Downfall of the Epoch” che ci si accorge di quanto sia cambiata la filosofia musicale dei gruppo. Il pezzo sfrutta il suo minutaggio elevato per passare da momenti più tirati ad altri più atmosferici e pacati, risultando indubbiamente gradevole ma, purtroppo, anche ricco di momenti di stasi e noia. Sembra che in più di un frangente i ragazzi si siano persi in passaggi del tutto fuori contesto, rendendo il tutto meno interessante.
Stesso dicasi per “The Day Will Come”, indubbiamente una canzone dotata di linee melodiche piacevoli, ma eccessivamente leggera e semplice, tanto da non riuscire a rimanere impressa come dovrebbe. E’ in questo caso che si sentono maggiormente gli echi degli Agalloch, che prepotentemente vengono alla mente dell’ascoltatore.
A risollevare un poco le sorti ci pensa “Towards the Light”, indubbiamente l’episodio più riuscito dell’intero platter e forse quello che richiama i Drudkh dei tempi andati. La canzone rimane ancorata saldamente a quel black metal onirico e atmosferico che ha caratterizzato i vecchi dischi. Ottimi i passaggi strumentali che contribuiscono ad accrescere il mood.
Analizzato sotto questa luce, parrebbe dunque che il disco faccia acqua da più parti ma ciò è vero solo in parte. Se infatti le ombre non sono poche, bisogna comunque ammettere che le tracce alla fine si lasciano ascoltare con discreto piacere e più di un passaggio riesce a colpire e convincere.
Va inoltre sottolineata una maturazione della band in fase esecutiva. I ragazzi sembrano decisamente molto più sicuri dei propri mezzi, sfoderando una prova di qualità. Il guitar-work ad opera di Saenko risulta curato e abbastanza convincente, sostenuto da una sezione ritmica ben strutturata e varia. Quest’ultima viene però penalizzata da un mixing non perfetto, che tende a non risaltare a dovere il lavoro del duo Krechet/Vlad, messo più di una volta in secondo piano rispetto a tastiere e chitarre.

A conti fatti “Handful of Stars” rappresenta sicuramente un album di minore importanza in una discografia ricca di lavori di spessore come quella di questi quattro musicisti. Un prodotto, questo, che mantiene comunque degli standard qualitativi dignitosi.
I fan più intransigenti del combo ucraino storceranno forse il naso all’ascolto, per tutti gli altri potrebbe essere un’occasione per poter addentrarsi per la prima volta nell’universo musicale del gruppo.
Siamo sicuramente lontanissimi dalle vette qualitative dei migliori lavori firmati da Thurios, ma un ascolto concedeteglielo lo stesso, specie se siete in cerca di qualcosa di estremo, ma non troppo.

 

Emanuele Calderone

 

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Tracklist:

01- Cold Landscapes

02- Downfall of the Epoch

03- Towards the Light

04- Twilight Aureole

05- The Day Will Come

06- Listening to the Silence

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