Recensione: Hangover Music vol. VI

Di p2k - 18 Maggio 2004 - 0:00
Hangover Music vol. VI
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Anno: 2004
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85

Puntuale come le tasse, anche quest’anno vede i Black Label Society ripresentarsi sul mercato con un nuovo album (il sesto in sei anni!!!!).
Zakk Wylde è ormai un’istituzione per il mondo del metal e del ROCK. Il suo stile chitarristico, così sporco, tecnico e potente è diventato un marchio di fabbrica tra i più conosciuti e stimati.
Coerente fino al midollo, il biondo e nerboruto chitarrista di Ozzy Osbourne è quello che suona in tutto ciò che fa. Basta assistere ad uno dei suoi spettacoli dal vivo, dove l’impatto live non necessita di nessun orpello scenografico, tanto è devastante e carismatico sul palco.
A “zio Zakk” devono però esser fischiate le orecchie ultimamente, perché un disco come questo “Hangover Music vol. VI” noi fans lo richiedevamo a gran voce da tempo, memori di quel capolavoro semiacustico che era “Book of Shadows”.
Credo che l’indurimento ottenuto da “zio Zakk” da quando ha creato i Black Label Society abbia un pochino messo in secondo piano le grandissime capacità di questo artista, in grado con la sua calda voce e la sua sensibilità di far viaggiare alte le emozioni, come appunto dimostrò all’epoca di “Book of Shadows”, da molti fans ritenuto il suo miglior lavoro. E non è un caso se uno degli episodi più riusciti del precedente disco, “The Bleessed Hellride” era proprio la title-track, dove l’acustica era l’assoluta protagonista.
Ed ora è il turno di “Hangover Music vol. VI”, un album composto da 15(!) perle “acustiche”, tra cui una cover, la celeberrima “Whiter Shade Of Pale” dei Procol Harum eseguita dal solo Zakk al piano, che nulla toglie e nulla aggiunge all’originale (Il che, data la caratura del pezzo, NON è cosa da poco!!!).
Il disco è un concentrato di ballad, dove l’irruenza dei predecessori griffati “Black Label Society” sembra essere un lontano ricordo, visto che lo strumento prediletto da Zakk in questo album è la chitarra acustica, relegando la sua fida Les Paul a qualche solos (NOTEVOLI!!!) e a qualche sporadico intervento di rifinitura.
“Hangover…” si apre alla grande con un trittico da pelle d’oca, “Crazy or High”, “Queen of Sorrow” (Graziata da un solo da URLO!!!) e “Steppin’ Stone” (Quest’ultima tra le mie preferite!!!) che ci restituisce lo splendido timbro di “zio Zakk”, caldo e “sgraziato”, con molti punti in comune con il suo “mentore” Ozzy!
Il tono generale del disco si assesta su atmosfere calde, intime, rilassate e nervose allo stesso tempo, dove la dolcezza di alcuni episodi (“Yesterday, Today, Tomorrow”, “She Deserves A Free Ride (val’s Song)”, “Woman Don’t Cry”) si alternano ad altri più oscuri. Ed è allora che il possente chitarrista sciorina altri gioielli come “Won’t Find It Here”, “Damage is Done”, “Fear” e “Once More”.
Gli unici attimi “movimentati” del disco sono rappresentati dal singolo “House of Doom” e “No Other”, che comunque non tradiscono il trademark generale del disco, avendo sempre la chitarra acustica come “attrice principale”.
Una nota a parte la merita “Layne” sentito omaggio di Zakk Wylde allo scomparso (ormai da due anni!) Layne Staley. Un brano dall’intensità disarmante, graziato come di consueto dalle splendide linee melodiche che questo chitarrista riesce a creare quando suona la sua chitarra con il cuore.
Per registrare questo disco “zio Zakk” si è fatto aiutare da alcuni amici, come Mike Inez (ex Alice in Chains) o James LoMenzo (ex White Zombie, Rob Zombie) al basso, o dal fidato Craig Nunenmacher (ex Crowbar) alla batteria.
Inutile dire che la prestazione di Zakk alla chitarra NON si discute (basti ascoltare l’intro “Takillya (estyabon)”). I suoi “armonici vibrati”, i suoi banding al limite dell’umana resistenza, le sue sfuriate con il wah continuano a marchiare a fuoco ogni attimo di questo disco.Insomma, “zio Zakk” ha staccato quasi del tutto la spina e messo da parte la furia degli ultimi anni, il tutto al servizio di un disco intimo ed emozionante, riuscendo quasi a farci rivivere le emozioni di quel “Book of Shadows” che sembrava essere stato dimenticato dal “nostro chitarrista preferito”. Invece il buon Zakk ha ripreso in mano l’acustica e ha ricominciato a cantare i suoi sogni, le sue paure, le sue speranze. Come solo i più grandi sanno fare.

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