Recensione: Harmony Corruption

Di Nicola Furlan - 20 Aprile 2010 - 0:00
Harmony Corruption
Band: Napalm Death
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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90

Vi dice qualcosa il nome ‘Mermaid’? Vi incuriorisce se dico che Mermaid era un locale per concerti situato a Sparkhill, uno dei quartieri più popolari di Birmingham e dove, a inizio anni ottanta, potevi incontrare Shane Embury, Bill Steer, Phil Vane, Ken Owen, Mick Harris, Justin Broadrick, Nicholas ‘Nik Napalm’ Bullen, Jeff Walker e compagnia bella? Beh, sono quasi certo che gli amanti della musica estrema non sono rimasti insensibili a queste informazioni, al sogno di poter balzare indietro nel tempo con la memoria e condividere certi momenti sotto quel palco. Perché? I nomi citati costituivano quel manipolo di pazzi furiosi che ha dato vita a band accostabili a uno dei movimenti musicali più estremi e devastanti dell’intera storia musicale moderna: il grindcore.

Influenzati in primis da gruppi quali Extreme Noise Terror e Discharge, puri esempi di seminale grind (o punk estremizzato se preferite), i Napalm Death, grazie anche al tape-trading, venivano in contatto con le prime sperimentazioni di band europee e americane che suonavano in modo nuovo, velocissimo. Al tempo giravano infatti un sacco di nastri che i ragazzi si scambiavano, senza gelosia e invidia: veri massacri musicali dettati dalla sola volontà di andare più veloci di chiunque. Si era instaurata una vera e propria competizione ‘ad alta velocità’ dove vinceva chi riusciva a ritmare bpm sovrumani. Tante prove, qualche demo e l’ingaggio del batterista Mick Harris furono sufficienti ai Napalm Death per conquistare il gradino più alto del podio, quello di band che suonava più veloce di tutti. Ciò che venne composto da lì a breve andrà a costituire “Scum” e “Enslavement to Obliteration”, pubblicati rispettivamente nel 1987 e 1988 dall’Earache Records del geniale e intuitivo produttore Digby Pearson. Ma venne il momento in cui correr tanto non bastava più: stop con il costante martellare di acustici blast-beat senza controllo, stop con la mancanza di quelle benché minime ‘raffinatezze’ che avrebbero acceso nuovi stimoli.
Il salto qualitativo i Napalm Death lo fecero nel 1990, anno di pubblicazione del terzo studio album “Harmony Corruption”. Anche questo capolavoro, caratterizzato da un songwriting sfumato di death metal, veniva battezzato dal potere dell’underground. Non l’underground britannico, ancora vincolato al grind degli albori, bensì quello statunitense. Band come Death, Possessed, Morbid Angel e Repulsion vivevano un movimento musicale che, per tempi di esecuzione e concetti, poteva definirsi affine a quello che fermentava tra Birmingham e Nottingham. Anche quei gruppi furono influenzati dal thrash metal più estremo e dal grindcore, ma anche dalla NWOBHM. Gruppi di caratura mondiale come Celtic Frost e Slayer, ma anche Iron Maiden e Mercyful Fate, rappresentavano già da un po’ le nuove frontiere della musica metal. Considerare testi, tecnica e melodia importanti quanto velocità e violenza permise al songwriting di evolversi con una maggior attenzione per gli arrangiamenti.

Mick Harris e compagni non rimasero indifferenti a questi spunti grazie anche al contributo artistico del nuovo chitarrista Pintado. Nel frattempo infatti i Napalm Death erano diventati una nuova formazione: via l’oscuro Lee Dorrian e lo storico Bill Steer, dentro il nuovo cantante Mark “Barney” Greenway e il chitarrista messicano Jesse Pintado. Prima dell’ingaggio Jesse fu uno dei primissimi estimatori dei Napalm Death stessi. Grazie a una cassetta demo capitatagli tra le mani quasi per caso (che conteneva quasi tutti brani di “Scum”), Jesse si ispirò e diede vita ai Terrorizer continuando nel frattempo a subire le nuove tendenze death metal e hardcore di provenienza floridiana e newyorkese. Con questa nuova line-up, con queste nuove menti, prese vita lo sperimentale “Harmony Corruption”, disco identificato da una miscellanea di ispirazioni: da una parte le estreme tendenze inglesi, dall’altra i primi rallentamenti dettati dal death metal, ben più raffinato e strutturato dell’impetuoso grindcore (uno dei pezzi che più rappresentano questo ‘passaggio’ è The Chains That Bind Us). Il contributo di Greenway e di Pintado stesso fu determinante in termini di profondità espressiva il primo, e di qualità del songwriting il secondo.

È altresì importante ipotizzare che chiunque avesse presenziato dietro quegli strumenti avrebbe dato vita a qualcosa di significativamente diverso da “Scum” e da “Enslavement to Obliteration”. Come già detto infatti, i tempi per i Napalm Death erano cambiati e un nuovo corso stava prendendo forma. Il death metal era qualcosa di nuovo, qualcosa in grado di impreziosire le innovative idee partorite qualche anno prima. E non si faccia l’errore di pensare al death metal come inteso oggi. In “Harmony Corruption” il grindcore è ancora presente, solo che non è usato con il solo scopo di massacrare chi ascolta, bensì come corollario ad un nuovo ‘modus componendi’ che puntava a qualcosa di nuovo e maggiormente curato. Le sfuriate non mancano quindi. Ogni brano ha la sua bella sezione iperveloce ma sia il lavoro alla batteria, sia il lavoro alla chitarra, danno l’idea che l’attenzione per i particolari sia stata un dovere imprescindibile durante le prove. L’attenzione per i particolari è anche riscontrabile nel contributo fornito dai cantanti John Tardy (Obituary) e Glen Benton (Deicide), veri maestri della scena death metal che prestano la loro gutturale voce al brano Unfit Earth.
Il lavoro di registrazione, svoltosi nei famosi Morrisound Studio, è curato dall’esperto Scott Burns. Concordemente alla volontà della band, il produttore ha curato ogni dettaglio, missando i brani con perizia. Nel resto d’Europa invece s’era ancora legati al presupposto che il death metal più oltranzista, piuttosto che thrash-oriented o grindcore, dovesse suonare grezzo per farsi ben volere.

Se non lo avete ancora fatto, provate ad ascoltare “Harmony Corruption”: vi aiuterà a cogliere i cambiamenti stilistici della band, oltre che del genere stesso, ma, ancor più, vi farà comprendere quanto sia fondamentale l’apertura mentale, il confronto tra musicisti e la libera espressione musicale, qualunque essa sia.
Ad un certo punto della loro carriera i Napalm Death devono aver pensato: ‘Or bene, disse Harris con tono solenne di comando, un nuovo modo di suonare grind s’ha da fare!’ Così come un tempo ideò qualcosa di nuovo, così ora ha reso immortale l’estremo. Eh già, “Harmony Corruption”, nato da un matrominio che s’aveva da fare affinché il grind, grazie al connubio col death metal, si evolvesse e non morisse come accaduto in altri ambiti musicali (thrash metal docet). Un bene prezioso, vi pare?

Nicola Furlan

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TRACKLIST:

01 Vision Conquest    
02 If the Truth Be Known    
03 Inner Incineration    
04 Malicious Intent    
05 Unfit Earth    
06 Circle of Hypocrisy    
07 The Chains That Bind Us
08 Mindsnare    
09 Extremity Retained    
10 Suffer the Children

Line up:
Mick Harris: batteria
Shane Embury: basso
Mitch Harris: chitarra
Jesse Pintado: chitarra
Mark “Barney” Greenway: voce

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