Recensione: Hate. Malice. Revenge.

Di Alberto Fittarelli - 12 Febbraio 2005 - 0:00
Hate. Malice. Revenge.
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Genere:
Anno: 2005
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77

Gli All Shall Perish sono una band davvero fortunata, visto che hanno
la possibilità, pur esistendo da soli 4 annetti scarsi, di farsi conoscere in
tutto il mondo grazie al deal ottenuto con la Nuclear Blast: questo Hate.
Malice. Revenge.
è infatti un disco uscito originariamente nel 2003, ma
ristampato dalla sempre più onnivora label tedesca per pubblicarlo in questo
inizio di 2005. Che cosa propone il quintetto californiano? La bio ufficiale
recita “Metalcore”, ma se con questa definizione pensate subito ai
Killswitch Engage e più in generale alla miriade di bands influenzate parimenti
dal death melodico e dall’hardcore allora siete decisamente fuori strada: la
musica contenuta in quest’album è infatti decisamente molto più brutale di
quanto vi potreste aspettare.

Leggendo un po’ meglio le note informative del disco scopriamo che la band si
dice influenzata da gente come i Dying Fetus e gli Internal Bleeding, prima di
tutto: al che si riconosce facilmente la matrice brutal, assolutamente presente
in tutto l’album a strutturare le canzoni; su di essa vanno poi a innestarsi
quegli arrangiamenti di vario tipo che provengono sì dall’hardcore, ma non
esclusivamente. Un esempio potrebbe essere Sever the memory: partenza
quasi melodica, ritmiche che effettuano una sorta di crossover tra il death
metal tout-court e certi suoni moderni di provenienza americana e una voce che
si divide equamente tra screaming e growl, con la prevalenza del primo sulle
parti più “swedish”. Confusi? In effetti la miscela di elementi è
tale da far meritare alla band un premio per la ricchezza di idee, ma si rischia
che il tutto si trasformi in un calderone di suoni troppo spesso
indistinguibili: almeno per noi europei, che siamo sempre stati abituati a una
certa divisione, più o meno netta, degli stili musicali, e che abbiamo saputo
creare etichette come “melodic death”, “metalcore” e così
via, quando gruppi come gli All Shall Perish non vogliono fare altro che
sfuggire a qualsiasi definizione.

L’album è quindi da prendere e ascoltare in blocco, senza troppo
preoccuparsi di dare un nome a ogni singolo passaggio, ma apprezzandone i
momenti indiscutibilmente riusciti, che per fortuna sono la maggior parte: Deconstruction,
The spreading disease, Never ending war sono brani che lasciano il
segno, probabilmente (almeno nelle intenzioni) molto più avanti di quanto
circola oggigiorno nel circuito “mainstream” di certo metal estremo.
E’ però vero che la band deve affinare gli arrangiamenti e snellire almeno un
po’ la composizione dei pezzi, per evitare che ci si perda per strada durante
l’ascolto, ma gli All Shall Perish restano una delle più grosse sorprese
su un’etichetta che ormai tende a standardizzare i propri artisti in maniera
preoccupante, per quanto spesso con album di qualità. Uno dei gruppi più
estremi apparsi ultimamente sotto l’egida Nuclear Blast, sperando che sappiano
enfatizzare quelle qualità che, in qualche caso, si mostrano ancora acerbe; e
uno dei dischi più genuini e interessanti di questi primi mesi dell’anno, una
bella sorpresa per chi cerca musica estrema, senza compromessi, ma allo stesso
tempo fuori dagli schemi e capace di spaziare nei vari sottogeneri di questo
modo di intendere il metal. Cercateli, ne vale davvero la pena.

Alberto “Hellbound” Fittarelli

Tracklist:

1. Deconstruction
2. Laid To Rest
3. Our Own Grave
4. The Spreading Disease
5. Sever The Memory
6. For Far Too Long…
7. Never Ending War
8. Herding The Brainwashed

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