Recensione: Head Cage

Di Gianluca Fontanesi - 3 Settembre 2018 - 11:51
Head Cage
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2018
Nazione:
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67

Il sesto album del maiale distruttore arriva ben sei anni dopo il precedente, ottimo Book Burner e un lustro dopo il non perfettamente riuscito esperimento di Mass & Volume. La band di Washington nel corso degli anni è riuscita a ritagliarsi una buona fanbase nel circuito grind a suon di uscite sempre di qualità e mai banali o gratuite. Nonostante qualche difetto non fa in parte eccezione nemmeno Head Cage, che esce ovviamente sotto l’ala di mamma Relapse e già dal titolo, rimandante ad un ameno strumento di tortura inventato in Scozia nel sedicesimo secolo, promette un sano e indecoroso macello.

Contrariamente ai noti trend del genere i Pig Destroyer, invece di sciorinare una tracklist da 6538 tracce per 20 minuti scarsi di musica, optano per dodici brani e una durata di una mezz’oretta scarsa. Dopo sei anni si sarebbe potuto fare di più? Assolutamente si, specialmente in virtù di un leggero cambio di focus all’interno del sound della band. Ci troviamo quindi a recensire un disco grind non grind, che in buona parte spezza la furia dei lavori precedenti in favore di brani più ragionati e letali a singhiozzo.

Dopo un’intro piuttosto inutile, Dark Train apre le danze in maniera violentissima e urticante: 2/4 e blast beats a Mach 2 e la solita voce di J.R. Hayes al microfono completa l’opera. Ci si sente a casa ma per poco: nel momento in cui parte un inserto di doppia cassa devastante e inizia ad uscire l’adrenalina, il brano finisce!!  Da inserire alla voce “grandi idee sfruttate male” del manuale del perfetto coitus interruptus. Si procede con Army Of Cops, che fa del groove la sua arma principale e risulta uno dei brani migliori del disco; qui il potenziale è sfruttato piuttosto bene ed è tutto ben congegnato e dal forte impatto live. Circle River ha un incedere simil thrash ed è un brano normale che scorre in maniera piacevole ma senza colpo ferire;  a tratti il sound di Head Cage ricorda quei gruppi hardcore anni ’90 che si ibridavano col crossover e non sempre erano in grado di mantenere una natura fresca e credibile. The Torture Fields rallenta ulteriormente il tiro nella sua fase iniziale e diventa interessante solo quando inizia a fare sul serio tornando al caro e vecchio grindcore. La struttura del brano poi è buona, trascinante e dà il suo meglio sul raddoppio di cassa che qui è ben sfruttato e dura il giusto. Terminal Itch e Concrete Beast hanno come ospiti Richard Johnson e Kat Katz degli Agoraphobic Nosebleed al microfono: la prima ha gli stessi pregi e difetti del brano di apertura e la seconda è un lentaccio zeppo di accenti che sperimenta un po’ ma senza centrare completamente il bersaglio.

The Adventures Of Jason And JR riporta il disco prepotentemente in carreggiata e lo fa in pompa magna con un tiro pazzesco e un grosso eureka: i Pig Destroyer suonano meglio potenti e aggressivi, non c’è nulla da fare e l’ascoltatore se ne rende sempre più conto col passare dei minuti e anche con la seguente Mt Skull, che è un vero e proprio pugno in faccia. Trap Door Man completa il trittico d’assalto totale e l’ascoltatore qui è appagato e ha ciò per cui ha pagato il biglietto. Mettere un brano che si chiama The Last Song in penultima posizione è geniale e un po’ di sane trollate non hanno mai ucciso nessuno; musicalmente si parte in maniera sbilenca per poi sfociare in un altro ottimo brano che fa dei raddoppi di cassa il suo centro nevralgico e procurerà sicuramente un mal di collo agli headbangers più accaniti. La conclusione è affidata a House Of Snakes, che è una composizione che supera i sette minuti (si, avete capito bene) e va a rovinare tutto con un arzigogolo che è l’archetipo della noia e non riesce ad essere credibile nemmeno quando prova a risollevarsi nella parte centrale. Non ci siamo, è tutto molto macchinoso, artefatto, confusionario e poco convincente, peccato!  

La produzione dell’album è compatta ma fin troppo pulita e al passo coi tempi; un minimo di sporcizia in più non avrebbe di certo fatto male. Tirando le somme, Head Cage è un nì: un disco che prova a sperimentare e virare ma non riesce nel suo intento, risultando fresco e interessante solo nel momento in cui si riaffaccia al vecchio sound. Quando invece prova a cambiare le carte in tavola diventa anacronistico e non è il massimo, nonostante l’attitudine che è comunque sincera e non tradisce mai. Alcuni fan probabilmente storceranno il naso, altri si avvicineranno sicuramente ai Pig Destroyer grazie alla maggiore accessibilità delle composizioni; noi però li preferiamo brutti, sporchi e cattivi.

 

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