Recensione: Helengard

Di - 22 Settembre 2011 - 0:00
Helengard
Band: Helengard
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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51

Dallo smisurato calderone in costante e continuo fermento che più comunemente potremmo chiamare Russia, una nuova band si affaccia – piuttosto timidamente – alla scena e al mercato musicale riconducibile al Folk metal. Sono gli Helengard, duo composto dalla cantante Alina “Witch_A” Roberts e dal musicista Anton Belov. Attivi dal 2005, anno in cui vide la luce il demo “Skiringssal”, i Nostri arrivano all’omonimo disco di debutto circondati da un anonimato pressoché totale.

Partiamo da un doveroso presupposto: il mercato di cui parlavo in apertura di recensione, ultimamente, si ritrova saturo di album e gruppi che hanno scelto di esprimere la propria creatività musicale seguendo il vasto ed eterogeneo filone Folk, e in minor parte quello Pagan.
Ora: per poter emergergere da un oceano impetuoso e per poter abbandonare il limbo fangoso dell’anonimato, è richiesto un sacrosanto livello qualitativo, unito a delle idee vincenti. In questo contesto in cui l’asticella del salto in alto si è impietosamente alzata verso standard qualitativi assolutamente elevati, gli Helengard hanno perso la presa sull’asta, segnando a referto un primo, rimediabilissimo, ‘nullo’.
Perché fortunatamente nulla è perduto ma, in buona sostanza, non ci siamo per niente.

“Helengard” è un disco suonato discretamente bene ma, dopo reiterati ascolti, risulta particolarmente piatto e si perde in una non celata abulia che ne sottrae energie, che ne soffoca la scintilla creativa riducendo il tutto ad un tappeto di suono (sia pur esso lieve e soave) da cui poco trapela. Un disco insomma senza capo ne coda in cui le voci dei due artisti risultano spesso quasi avulse dal contesto musicale, sopratutto se andiamo a soffermarci sulle parti “sporche” di Belov. Di contro anche la prestazione di Alina Roberts non brilla sicuramente per originalità o per interpretazione, risultado spesso troppo ‘monocorde’, fredda e distaccata.

L’ambientazione ricorda in minima parte Falkenbach, anche se si discosta in maniera totale dalla magia che è palpabile nella proposta musicale di Vakyas. Il disco non è da buttare in toto, sia chiaro, certo è che poco rimane nella memoria dell’ascoltatore, e questo non è mai un buon segno.
Le idee anche ci sarebbero, come in “Smoke Of War”, ma qualche buon arpeggio non può sopperire ad una generale mancanza di contenuti.
Limpidi fiumi, boschi silenziosi percorsi da sussurranti fremiti di vento necessitano di qualcosa in più.

Tirando le somme, e augurando al combo di Chelyabinsk maggiori fortune e maggiori ispirazioni nel prossimo futuro, non mi resta che consigliare questo disco esclusivamente como sottofondo rilassante in una serata tra amici nella quale, le chiacchiere conviviali, siano le assolute protagoniste.

Daniele Peluso

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Tracklist:
01. Intro     
02. Wreath     
03. Blizzard Sweeps the Traces     
04. Snowstorm Call     
05. The Spindle     
06. Smoke of War     
07. Arrow     
08. Whisper of Dry Foliage

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