Recensione: Helion Prime

Di Stefano Usardi - 18 Marzo 2017 - 9:30
Helion Prime
Band: Helion Prime
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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74

Vi ricordate i Dino Riders? Quelli tra di voi che sono cresciuti negli anni ’80 probabilmente sì, ma per i più giovani o i meno dotati dal punto di vista mnemonico dirò che si trattava di una serie di giocattoli che presentava due fazioni di pupazzetti (i classici buoni contro cattivi) che cavalcavano dinosauri corazzati e armati di fucili laser. Esisteva forse qualcosa di più ignorante, coatto e quindi di totalmente indispensabile per un bambino? Non credo. Ad ogni modo, se vi state chiedendo il perché di questo mio salto nel viale dei ricordi d’infanzia vuol dire che, probabilmente, non avete ancora adocchiato la copertina dell’album che sto trattando, quindi correte a rimediare. Fatto? Colto il parallelismo? Bene, possiamo proseguire.

Gli Helion Prime si formano ufficialmente intorno al 2014 in California, con il proposito di unire un sonoro U.S. power metal a un’impronta più scientifica e qualche tributo alla fantascienza di cui i membri fondatori, Jason Ashcraft e Heather Michele, sono appassionati (lo stesso nome del gruppo deriva da un pianeta alieno nominato nelle “Cronache di Riddick”, pellicola molto amata dai due). In seguito, la necessità di trovare una formazione stabile che reggesse il passaggio da semplice project-band a gruppo vero e proprio portò ad una serie di assestamenti e cambi di formazione fino a consegnarci, dopo la ri-pubblicazione dell’album (già uscito come autoproduzione) sotto AFM, un gruppo totalmente rinnovato. Per questo motivo non preoccupatevi se, controllando la pagina degli Helion Prime e confrontandola con la formazione e la foto della band qui sopra, non riconoscete praticamente nessuno: è tutto sotto controllo. Per quanto riguarda la proposta dei nostri californiani, ci troviamo di fronte al classico album di metallo melodico ma compatto, caratterizzato da un buon lavoro delle chitarre (e dei numerosi ospiti che si avvicendano lungo le sue dieci tracce) e che ha nelle ammalianti armonizzazioni vocali della bella Heather il suo tratto peculiare.
Dopo aver timbrato il cartellino con l’obbligatoria introduzione effettata e dominata da voci filtrate per entrare nell’atmosfera sci-fi del lavoro, ecco che si inizia a fare sul serio con “The Drake Equation”. Il brano si presenta fin da subito solido e godibile, caratterizzato da riff corposi e frastagliati e da ritmiche discretamente agili, mentre si iniziano a sentire le prime armonizzazioni vocali di cui si parlava prima e che pian piano prenderanno piede. Il finale del brano sfocia nella successiva “Life Finds a Way”, in cui le melodie si fanno più accentuate e la proposta degli Helion Prime guadagna in corposità grazie a un leggero inspessimento del suono. Le linee vocali si fanno più marcate, con la voce di Heather che si sdoppia, si avvolge intorno a sé stessa e, pur assumendo in determinati momenti una certa sintetica freddezza perfettamente in linea con l’ambito fantascientifico, riesce comunque ad ammaliare l’ascoltatore e trasmettere una certa determinata positività. Con “Into the Black Hole” si comincia a pestare un po’ di più, con chitarre e sezione ritmica che guidano la carica per la prima traccia dall’andamento davvero battagliero. La positività precedentemente mostrata dai nostri baldi californiani, comunque, non è sparita, ed ecco che torna a farsi sentire durante il ponte e il ritornello col suo carico di melodie solari che ben si amalgamano ai power chords dispensati dalle chitarre. Il bel solo, molto americano nell’incedere, apre la strada al finale che ci traghetta verso la malinconica “A Place I Thought I Knew”, introdotta da un morbido arpeggio e dall’ammaliante voce che spadroneggia per tutta la traccia. Con l’andare del minutaggio il suono si irrobustisce, filtrando la malinconia iniziale di nuove speranze pur mantenendo un tono sottilmente mesto che, al termine della “sfuriata” centrale, torna preminente in tempo per la chiusura. “You Keep What You Kill” spezza la malinconia e torna ai ritmi più arrembanti e insistiti, affiancando alla voce algida di Heather (che comunque si fa, qui, molto più aggressiva del solito) il growl di Bryan Edwards. La traccia è sicuramente la più combattiva di tutto l’album, e nonostante i brevi squarci di voce pulita che ne stemperano la carica aggressiva resta comunque una mosca bianca nell’economia di questo “Helion Prime”, soprattutto a causa delle scelte vocali anzidette che risultano, in qualche occasione, un po’ fuori luogo. Detto questo, la canzone non mi è affatto dispiaciuta, in quanto fornisce una buona scossa all’album in un momento in cui potrebbe diventare difficile mantenere l’attenzione dell’ascoltatore.
Un riff che più tronfio non si può introduce “Oceans of Time” in cui, accantonata la parentesi furiosa della traccia precedente, si torna alle melodie eroiche e ai riff corpacciuti di “Into the Black Hole”. Purtroppo, però, non tutto sembra funzionare alla perfezione: nonostante la parte strumentale sia decisamente grintosa e gli assoli molto d’effetto, si avverte un passo indietro da parte di Heather che, qui, sembra un po’ sottotono, quasi avesse deciso di limitarsi al compitino e lasciarsi trascinare dal resto del gruppo anziché dettare le regole. Il lieve colpo di coda riparatore arriva nel finale, in cui Heather sembra finalmente ricordarsi chi lei sia e appone anche il suo sigillo ad una traccia che, con un po’ di grinta in più, se la sarebbe giocata alla grande per il titolo di gioiellino dell’album. E si arriva a “Moon-Watcher”. Qui, dopo un’introduzione vocale quasi intimista, si torna di colpo ai tempi più quadrati e marziali che avevano caratterizzato le prime tracce. Anche in questo caso, però, la resa vocale perde brillantezza, adeguandosi all’andamento del brano e limitandosi a volare basso lasciando che sia il resto del gruppo a mettersi in mostra. Poco male, perché è con la successiva “Apollo (the Eagle has Landed)” che i nostri eroi calano l’asso: fin dai primi secondi, infatti, si capisce che si sta per ascoltare qualcosa di bello. Il brano, dai chiari rimandi all’allunaggio di Armstrong ed Aldrin del ’69 (il titolo della canzone e parte del ritornello richiamano le frasi attribuite allo stesso Armstrong in quello storico momento), riassume la proposta della band californiana bilanciandone gli elementi in modo perfetto: inizio trionfale e piacione, ritmiche serrate, melodie solari e propositive e ritornello avvincente, tutto qui è dove dovrebbe essere e ci si incastra alla perfezione. A mio avviso, una delle canzoni power più coinvolgenti dell’ultimo periodo, punto e a capo.

Chiude quest’ottimo esordio “Live and Die on this Day”, il cui inizio compassato lascia intuire che i nostri vogliano concludere con un’altra ballata. L’illusione dura meno di un minuto e mezzo, quando batteria e chitarre entrano in gioco per sostenere l’ingresso in scena di Niklas Isfeldt dei Dream Evil, che duetta con Heather in questa traccia grintosa e melodica al tempo stesso e pone il sigillo a un album sicuramente ammaliante e, nonostante qualche episodio non all’altezza del resto, superiore alla media delle uscite power. Resta da stabilire che strada seguirà ora il gruppo, visti i pesanti cambi di formazione. Beh, staremo a vedere, nell’attesa dedicate un ascolto a questo “Helion Prime”, potreste rimanere piacevolmente colpiti.

E comunque, mi avevano già conquistato con la copertina.

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