Recensione: Hellelujah!

Di Andrea Poletti - 29 Luglio 2016 - 0:00
Hallelujah!
Band: Gevurah
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Gevurah, il quinto sephiroth dell’albero della Kabbalah, l’essenza del giudizio e delle limitazioni interiori che corrispondono al fuoco; la mano sinistra di Dio che punisce e giudica l’umanità nelle sue fondamenta. Alleluia, Hallelujah o Halleluyah, è la traslitterazione della parola ebraica הַלְּלוּיָהּ (ebraico tradizionale Halleluya), composta da Hallelu e Yah, che si traduce letteralmente “preghiamo/lodiamo (הַלְּלוּ) Dio (Yah יָהּ)”. Sette brani quale simbolo della perfezione e santità, 777 è il caos perfetto che comanda le regole dell’universo, l’unione di 3 (il triangolo) e 4 (il quadrato) che forma l’unione meditativa tra umano e divino. L’incombenza del convergere tra divino e satanico, una poesia demoniaca per il giudizio dell’uomo moderno, Hallelujah o grande signore degli inferi.

Satana rappresenta appagamento, non astinenza!

Primo principio satanico

Il satanismo visto quale meditazione e libertà poetica per andare oltre i conflitti che il divino interpone tra le comunicazioni non verbali; questo è sotto, ogni singolo aspetto, un album che non espone e ridicolizza i canoni dell’espressione massima dell’anticonvenzione, va compreso e catturato all’interno di un contesto molto più ampio, dove la meditazione e l’attenzione rivolta devono essere superiori alla media. Sessantaquattro minuti di blasfemia intelligente, un primo full-length che pone un doveroso solco tra coloro che oltre la musica credono nel verbo nero, proclamandolo agli onori del mondo, a debita distanza da quelli che invece vendono nel tutto un scherzo, una goliardica presa di poisione per andare contro i dogmi sociali. I brani quali poesie, la musicalità ricercata e mai portatrice di compromessi, dove non v’è soddisfazione alcuna se non il rammarico del non aver creato prima; una ricerca che si delinea su di un prontuario per una surreale salvezza interiore.

Your powers are absolute

For which hand is it that the slave kissed

The one which fed him or the one which poisoned his drink?

Grand corruptor, Prince of utmost Darkness

Your hands are limitless!

Dwell deep into the heart of Man

And defile his soul with the very fruit of his labour

Though the dead do not talk

Satana rappresenta la deturpata saggezza, non l’ingannevole ipocrisia!

Terzo principio satanico

La scuola svedese che immerge le proprie radici nella contemporanea francese per delineare orizzonti e visioni di non facile accesso, canzoni lunghe, contorte e dannatamente dirette. Scordiamoci le voci femminili, le armonizzazioni del post black moderno da hypster e strappiamo la luce dal mondo regalando sofferenza. Questo è satana, questo album è il lato oscuro del non voler sapere, il decalogo moderno che cerca di essere portatore di nuove scuole musicali oltre le parole da finti intenditori. Non ci sono somiglianze, non ci sono paragoni o definizioni che possono andare ad avvicinarsi ad “Hallelujah!”, i Gevurah sono un mondo a sé stante, senza arte ne parte. Potremmo intravedere alcuni aspetti dei primi Watain che si connettono agli Aosoth per estendersi ai priimordiali Deathspell Omega. Quale necessità abbiamo di comparare? Cosa emerge dal proporzionare tale monolite al già realizzato? Sicurezza e conforto prima di imbattersi nel mondo sconosciuto dei nostri canadesi. Blast beat si, velocità certamente e screaming rauco catacombale ancora di più, ma bisogna intravedere all’interno delle sette tracce un rituale, una messa che va a completarsi con l’ultima, monumentale ‘Titletrack’ da venti minuti, dove il tempo si ferma e la proclamazione della “sua potenza” è affermata per intero. Nulla da descrivere, nulla da indicare, nulla da raccontare a livello giornalistico e che si colleghi una classica recensione. Questo non è un album come già dichiarato, piuttosto un rituale satanico contemplato in forma sonora. Necessitate di ulteriori parole?

Praise thee O Fallen Star! Thy Light is timeless!

Springing from the abysmal, forsaken depths of Da’at

We eat the fruit of your knowledge and accept the punishment

To irremediably bring us below, in sinister ecstasy

For one must reach the deepest pit to attain the highest peak…

LUCIFER! O thou Lotus Crown!

Subire, contorcersi tra le spire del serpente diabolico che incanta e infatua con lo sguardo, un velo di buio che cala sul prossimo e si insidia nel preesistente. “Hallelujah!” è un album che contempla l’ignoto del divino e lo porta alla luce come tela di un ragno, che non aspetta altro, che soffocare la sua prossima vittima; lungo, contorto, difficile e senza giochi di parole diventa il manifesto per coloro che vedono un’indebolimento del black metal moderno. Come Batushka, Mgla, Akhlys, Skaphè, Behexen e Howls of Ebb ed altri i Gevurah si insediano nei top degli ultimi tempi, per ricordare ai posteri che in quest’epoca le fondamenta del il black metal, quello vero, che porta in seno il timbro della fiamma nera sono ancora vive all’interno di pochi eletti.

Satana rappresenta la vendetta, non “porgere l’altra guancia”!

Quinto principio satanico

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80