Recensione: Hellgate

Di Alessandro Calvi - 16 Settembre 2004 - 0:00
Hellgate
Band: Bejelit
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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80

Eccoci finalmente qui a recensire il primo album dei Bejelit, promettente band nostrana che dopo un paio di demo e qualche anno di gavetta suonando in giro per l’Italia, finalmente ha avuto l’occasione di dimostrare il suo valore grazie a un contratto. In realtà questo disco risale a più di un anno fa essendo stato registrato nel luglio del 2003, ma una serie di ritardi nell’uscita ha quindi convinto la band a sciogliere il loro contratto con la Underground Symphony per firmare per la neonata Battle-Hymns che ha fatto uscire l’album quasi istantaneamente.

I Bejelit sono un gruppo giovane, non solo per il tempo che suonano insieme, ma come età media dei musicisti. Nonostante questo, la loro musica è veramente matura e non soffre quasi per nulla di quelle imprecisioni, di quelle manchevolezze che di solito caratterizzano le composizioni di chi suona da poco tempo. Dato questo che soprattutto ci fa ben sperare per il futuro se continueranno a migliorare con il ritmo che hanno ora.

Ma andiamo a parlare del disco: per prima cosa ci tengo a dire che quando ho avuto occasione di ascoltarlo la prima volta non è praticamente più uscito dal mio lettore per la bellezza di un paio di mesi, questo perchè il disco in questione mi aveva decisamente conquistato.
Dunque, i Bejelit propongono una musica che secondo me è un po’ un misto tra il power di scuola statunitense e l’heavy classico degli anni ’80. Nella loro musica infatti si intrecciano indissolubilmente sonorità del passato, con un uso delle chitarre e della batteria decisamente moderne. Come questo mix sonoro sia uscito è una cosa che gli stessi musicisti non sanno ben spiegarsi perchè ognuno di loro segue personali gusti musicali che ben poco in molti casi hanno a che fare con il genere che suonano. Per far meglio capire ai lettori l’ibrido che questi ragazzi hanno messo insieme le prime cose che mi vengono in mente sono i primi dischi degli Iced Earth, la loro musica non centra nulla con il gruppo americano, sto parlando di attitudine, in entrambi i casi troviamo un sound che è un misto decisamente particolare, aggressivo e melodico al tempo stesso.

Per quanto riguarda i brani, le canzoni che compongono Hellgate sono dieci, sei di queste sono riprese dal demo autoprodotto intitolato Bones and Evil. Per l’uscita del disco, i brani riproposti hanno subito in alcuni casi una vera e propria opera di restauro, a seconda del caso sono stati in parte riarrangiati, allungati e/o un po’ cambiati, in certi casi presentando anche alcune linee vocali nuove. Infine poi sono stati tutti ovviamente reincisi con una maggiore attenzione per la produzione.
Dopo aver ascoltato l’album sono quindi convinto che coloro che come me posseggono già il demo della band, non si troveranno di fronte solo 4 nuove canzoni, ma tutti i brani saranno una sorta di nuova scoperta, 10 nuovi gioiellini da ascoltare e riascoltare.

Se dovessimo fare una disamina di ogni singola canzone devo dire che però mi troverei davvero in difficoltà, perchè non potrei lasciare fuori neanche una traccia.
Hellgate si apre con Bloodsign, un brano storico della band, una vera propria dichiarazione di guerra con il suo ritmo velocissimo e martellante, un vero schiacciasassi con la voce di Fabio che raggiunge in questo caso passaggi quasi growl nello sforzo di dare maggiore aggressività al brano.
La scaletta continua con una serie di vecchi classici: Bones and Evil, titletrack del vecchio demo, un brano straordinario che si stamperà subito nelle vostre teste, poi The Haunter of the Dark, un brano ispirato all’omonimo racconto del solitario di Providence H.P.Lovecraft, la mia canzone preferita tra quelle sfornate dal gruppo aronese.
Come non citare poi I Won’t Die Everyday, una ballad di rara bellezza e melodia, dolce e triste al tempo stesso, una piccola gemma all’interno di tutto il lotto. Poi due brani nuovi: Slave of Vengeance, diventato anche un singolo apripista per il disco e Skull Knight Ride, in cui i nostri dimostrano che se continueranno su questa strada hanno ancora tante cose da dire.
Di nuovo spazio a un vecchio classico Death Chariot, la prima canzone mai composta dal gruppo, un brano che, ad essere sincero, nella vecchia versione presente sul demo, dopo qualche ascolto aveva cominciato a stancarmi, ma che in questa versione riarrangiata riacquista tutta la sua forza e la sua godibilità. Dust in the Wind è, tra tutte le canzoni dei Bejelit, sicuramente quella che più delle altre strizza l’occhio al genere power, riuscendo godibilissima quanto le altre, ma che forse presenta un sound un po’ meno personale.
Infine si chiude con Bejelit e la lunghissima ouverture di chiusura In Void We Trust, un brano di oltre 9 minuti in cui questi ragazzi rispondono da par loro a tutti quelli che li pensavano incapaci di scrivere canzoni troppo lunghe eppure godibilissime, e questa risposta sa davvero di uno schiaffo in piena faccia.

Passando alle critiche dal mio punto di vista sono veramente poche. Le uniche minime annotazioni che si possono fare riguardano i vecchi brani. Per uno che era abituato a sentire le canzoni suonate alla vecchia maniera possono sembrare un po’ strane nei nuovi arrangiamenti e a un primo ascolto preferire la versione precedente. A me personalmente era accaduto proprio questo, poi dopo solo pochi ascolti sono rimasto conquistato dalle nuove versioni. La seconda nota a piè di pagina riguarda il suono della batteria che nei brevi e pochi momenti dell’uso del trigger suona un po’ artificiale, ma questo è un problema che passa praticamente inosservato.

Per concludere: un album a mio avviso spettacolare, le canzoni del demo sono ormai dei classici per chi segue la band da un po’ ed è stato a qualcuna delle loro esibizioni dal vivo, i brani nuovi seguono il cammino di quelli vecchi con il preciso scopo di trovare un posticino nei gusti degli ascoltatori vecchi e nuovi. In generale un disco veramente notevolissimo di per se, ancora di più se realizzato da una band alla sua prima pubblicazione. La speranza è che il gruppo continui per questa strada per regalarci altri dischi di questo tono.
Da avere per tutti quelli a cui piace la buona musica.

Tracklist:
01 Bloodsign
02 Bones and Evil
03 The Haunter of the Dark
04 I Won’t Die Everyday
05 Slave of Vengeance
06 Skull Knight Ride
07 Death Chariot
08 Dust in the Wind
09 Bejelit
10 In Void We Trust

Alex “Engash-Krul” Calvi

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