Recensione: Hemmed By Light, Shaped By Darkness

Di Emanuele Calderone - 23 Gennaio 2014 - 22:00
Hemmed By Light, Shaped By Darkness
Band: Ephel Duath
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2013
Nazione:
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81

Se in Italia c’è un musicista che, in ambito metal, ha cercato di non ripetersi mai, quello è Davide Tiso. Il polistrumentista padovano, assieme ai suoi Ephel Duath, ha sempre esplorato nuovi territori musicali, non adagiandosi mai sugli allori, cercando invece di proporre sempre qualcosa di nuovo.

 

Sembrano passati secoli da quando, nel 2000, gli Ephel fecero il loro debutto sulle scene con ‘Phormula’, un album indubbiamente particolare, che spaccò la critica in due: da un lato c’era chi, affascinato dal connubbio desueto di post-black metal ed elettronica, ben accolse il lavoro; d’altra parte non furono in pochi a evidenziare degli ampi margini di miglioramento.

Tempo tre anni e i Nostri tornarono sui mercati con ‘The Painter’s Palette’. Il risultato fu qualcosa di strabiliante e innovativo. La commistione tra hardcore, black metal e free-jazz mise d’accordo un po’ tutti, e l’album raccolse i pareri entusiastici della stampa specializzata. L’avantgarde aveva trovato un nuovo punto di riferimento, e stavolta era italiano. Senza perdere tempo, Tiso e i suoi si misero a lavoro sul successore di ‘The Painter’s Palette’ e, nel 2005, vide la luce ‘Pain Necessary to Know’, che pur proseguendo la strada del suo predecessore, portò i Duath a spingere i propri limiti ancora più in là.

Dopo un silenzio durato quattro anni i ragazzi tornarono, nel 2009, con il controverso ‘Through my Dog’s Eyes’. L’opera, dall’anima più blues che jazz, segnava un deciso allontanamento da quanto fatto negli anni passati: la scelta, sebbene azzardata, avrebbe portato i suoi frutti. Sarà stato il drumming di un certo Marco Minnemann, i passaggi post-rock tanto di moda, ma il lavoro venne ben recepito dalla critica.

 

Ecco che arriviamo dunque ai giorni nostri. Uscito il 19 Novembre scorso, ‘Hemmed by Light, Shaped by Darkness’ rappresenta l’ultima fatica discografica degli Ephel Duath. Cosa aspettarsi da quest’album? Nessuno lo sapeva, non prima almeno che ‘Shaped by Darkness’ e ‘Feathers Under my Skin’ cominciassero a circolare sulla rete.

Diciamolo da subito: i ragazzi, continuando sull’impervia via della sperimentazione, hanno fatto nuovamente centro. No, non è una questione di mero campanilismo italiota, il fatto è che questi artigiani del bizzarro, ancora una volta, sono riusciti a dar vita a qualcosa di originale, brillante, interessante.

Iniziamo dando un rapido sguardo ai musicisti che hanno aiutato Tiso in questa avventura: alla batteria, per la seconda volta, troviamo Marco Minnemann, session-men tra i più richiesti, autore di una prova maiuscola per precisione e varietà. Il drumming dell’austriaco conferisce estrema dinamicità e movimento a ciascuna delle otto canzoni contenute in ‘Hemmed by Light, Shaped by Darkness’. Non da meno si dimostra Bryan Beller, bassista di grande esperienza, già a lavoro con Steve Vai, The Aristrocats e Deathlock. Il musicista americano è puntuale come un orologio svizzero e, oltre a donare maggiore corposità alla sezione ritmica, non disdegna di lanciarsi in brevi quanto intensi assoli.

Davide Tiso, ancora una volta, si dimostra abile nel comporre brani nei quali la sua chitarra può esprimersi al meglio. Il riffing è variegato, possente ed estremamente ‘fresco’. Le linee di chitarra, dal vago retrogusto jazz, riescono a rendere il tutto ipnotico. Apprezzabilissimi anche gli assoli ad opera del musicista, capaci di conferire un tocco psichedelico al tutto.

Piccolo capito a parte lo merita il comparto vocale. La particolare voce di Karyn Crisis -una sorta di cantato tra il growl e una voce graffiante, roca- riesce a dare quello sprint in più che altrimenti sarebbe mancato. Le linee vocali, dal sapore -core, tendono a sporcare volutamente delle basi musicali raffinatissime.

 

Se a un ascolto preliminare l’aspetto che più colpisce è l’ottima preparazione tecnica del combo, scavando un po’ più a fondo, a rimanere veramente impressi sono l’eleganza degli arrangiamenti e la solidità delle canzoni, capaci di reggere alla perfezione il passare del tempo.

Ciò appare chiaro fin da subito: ‘Feathers under my Skin’, opener di questo ‘Hemmed by Light, Shaped by Darkness’, mette in mostra tutta l’esperienza aquisita dai Nostri nel corso di questi anni. Le linee di chitarra, dissonanti e imprevedibili, sostengono con decisione Karyn che, con la sua voce, rende il tutto selvaggio, rabbioso.

Andando avanti, non è difficile evidenziare gli highlight dell’opera: sono brani soffocanti come ‘When Mind Escapes Flesh’, con il suo incedere tortuoso, piuttosto che la breve ma intensissima strumentale ‘Hemmed by Light’ o, ancora, la conclusiva ‘Shaped by Darkness’ che rendono questo disco, l’ennesimo centro firmato dagli Ephel Duath.

Sia chiaro, non che le restanti tracce siano di qualità inferiore, anzi. La personalità che scaturisce da ogni singola nota suonata dal quartetto, riuscirebbe a lasciare sbigottito anche l’ascoltatore più navigato. Se proprio si volesse muovere una qualche critica, si ha l’impressione che forse in due o tre passaggi, i musicisti abbiano messo troppa carne al fuoco. Probabilmente un minutaggio minore -ci riferiamo soprattutto alla comunque ottima ‘Tracing the Path of Blood- avrebbe reso l’insieme ancor più gradevole.

 

Ma questo non è solo un disco bello, è anche un prodotto realizzato con cura certosina. A meritare il primo plauso ci pensa la copertina ad opera di Aeron Alfrey, che con le sue cromie e il soggetto rappresentato, riesce ad incarnare alla perfezione il mood della musica qui contenuta.

Sullo stesso livello si attesta anche la qualità dei suoni, puliti e ben distinguibili, ma non per questo posticci. A questo proposito la mano di un certo Erik Rutan, in fase di produzione, di certo ha aiutato notevolmente.

 

Insomma, gli anni passano, l’esperienza aumenta e la voglia di stupire non passa mai. Naturalmente siamo lontani anni luce da quel gioiellino di ‘The Painter’s Palette’, ma non si può negare che ancora una volta gli Ephel Duath abbiano confenzionato un’opera di grandissimo spessore artistico, che saprà mettere d’accordo un po’ tutti. Promossi a pieni voti dunque, con la speranza sempre viva che questi ragazzi possano cogliere i frutti di tanto lavoro.

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