Recensione: Hero

Di Andrea Poletti - 13 Dicembre 2016 - 5:55
Hero
Band: Bolzer
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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85

“Tutte le leggi sono fatte da vecchi e da uomini. I giovani vogliono le eccezioni, i vecchi le regole.” 

Johann Wolfgang Goethe

A volte capita che una band faccia troppo chiasso senza evidenti meriti artistici, giri il globo con solamente due EP all’attivo e venga osannata per materiale discretamente grezzo e di non grandissima innovazione. La larva si schiude, prende possesso delle proprie facoltà e si libra in volo, lontana dai lidi del primordiale passato per affrontare nuove sfide; vola così in alto da sparire nel cielo ed essere ripudiata da quegli stessi che che qualche mese prima esprimevano complimenti e grasse parole infondate. “Hero” era atteso da molti fan degli svizzeri nel settore underground, era anche poco ben visto da quelli che vedevano nei primi passi della band una immeritata popolarità. “Sarà l’ennesima classica robaccia per i cultori del suono mobile e senza un briciolo di anima”, musica da ascoltare con infiniti preconcetti, ma sorprendetemente i Bölzer hanno spiazzato tutti e danno alle stampe un disco di infinita ispirazione e fuori dagli schemi; “Hero” è la quinta essenza di come una band debba cimentarsi in sentieri ostici, impervi e tentare per non rimanere affossata nelle speranze del popolo del metal che tutti sappiamo, un giorno ti ama l’altro dopo ti sputa in faccia. 

Questo primo, nuovo full-length ufficiale regala sorprese, emozioni e diventa una droga che è impossibile da non assumere a dosi massicce quotidianamente. Una breve intro, un fischio lontano che ci introduce al nostro sentiero da qui ai prossimi quarantasei minuti, cosa accadrà è definibile quale ambivalente perchè chi segue il gruppo che avrà già ascoltato l’album facendosi una propria idea, altri invece potrebbero pensare ad uno scherzo. “Hero” non va analizzato minuzionasamente traccia per traccia poiché v’è un legame indissolubile tra ognuna delle composizioni, come a descrivere un ipotetico concept album che si dirama come una serpe affamata di vittime. Ciò che destabilizza maggiormente è incontrare l’utilizzo delle clean vocals sin dalla prima ‘The Archer’ in maniera più consistente e metodica, combinando tutto con un growl meno gutturale a favore di harsh vocals più grezze e sinistre. Anche l’impianto strumentale è meno dedito alla matrice thrash/black che si incontrava qua e la, andando verso ritmiche più complesse e dilatate, tempi che strizzano l’occhiolino al doom; ovviamente il marchio distintivo si percepisce ma con la produzione più pulita e un basso in maggiore evidenza, la architettura dei brani ha una dinamica maggiore e leggermente più rallentata. Dato che le influenze sono variegate e infinite facciamo alcuni esempi; il ritornello della ‘Titletrack’ ha inaspettatamente vaghi richiami anche ai Mastodon dei tempi antichi, mentre la successiva Phosphor’ ha preso in pieno le molteplici esperienze impartite dai Behemoth in sede live e le ha rivisitate in chiave più melodica, richiami al gene polacco sino al midollo si fratunmano su melodie dissonananti e malinconiche. La suite, di quasi dieci minuti, ‘I Am III’ dalla sua prende le avvicenti coordinate da quel genio di T.G. Fisher e i suoi Triptykon, con anche il classico versetto “uh!” incorniciato da tempistiche sghembe e dispari, mentre il vocalizzo shamanico è surrealismo puro; la recita stile gregoriano ci introduce a ‘Spiritual Atheticism’ che grezzo, rozzo e mastodontico diventa un brano da digerire nelle notti più insofferenti e infami del mondo. Un senso di rottura, di oltranzismo che cosparge il cielo del nero più viscerale e maleodorante, ataviche visioni in un connubio di forza e psichedelia. Il finale è una doppietta che unisce due canzoni, legate ironicamente dal cinguettio degli uccellini; “Chlorophyllia” è il brano atipicamente legato più al passato in certi passaggi con ritmiche più grezze cadenzate, gli stacchi liturgici delineano ad ogni modo sempre quella stravagante volontà di ricercare l’aneddoto diventando sempre difficile riuscire a scoprire cosa accadrà minuto dopo minuto. Questa è la forza dei Bölzer ad oggi, prendere il proprio passato rigirarlo, destrutturarlo e farne saccoccia per i giorni a venire, tutti gli insegnamenti dai grandi del passato e del presente uniti per creare quell’album che infiniti gruppi si sognano da una vita. 

Hero” è l’album della svolta, le radici del death primordiale degli inizi sono rimaste ma hanno una pesantezza in meno, son più libere di andare a cercare quell’espressione artistica che latitava nel profondo. A dispetto delle premesse decine di sorprese ci lasciano di fronte ad un disco di pregevole fattura, una nuova veste che calza a pennello ai Bölzer e gli offre di diritto di diventare una delle più belle realtà del 2016 in ambito estremo; questo disco apre le porte a svariate combinazioni artistiche nel prossimo futuro, potendo potenzialmente portare la band versi cammini inattesi. Consigliato a chi non a paura delle vertigini, stiamo volando molto alti.

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