Recensione: Horror Of The Zombies

Di Michele Carli - 3 Maggio 2009 - 0:00
Horror Of The Zombies
Band: Impetigo
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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90

Gli Impetigo sono uno di quei gruppi per i quali ho un profondo, intenso senso di riconoscenza. Pur senza mai essere usciti dalla stretta cerchia dei gruppi di culto del metal estremo, la loro importanza per generi come il goregrind e un certo tipo di death metal è profonda e radicatissima. Basterebbe dare uno sguardo al disco tributo Wizards Of Gore, forte della presenza di nomi come Impaled, Machetazo, Blood Duster, Haemorrhage, Mortician, Lividity e altri ancora, oppure prendere in blocco quasi tutto il catalogo della Razorback Records per capire quanti hanno deciso di battere il loro stesso sentiero musicale traendone ispirazione.

La carriera di Stevo, Mark, Scott e Dan è iniziata nell’Illinois nei vecchi e musicalmente prolifici anni ’80, e più precisamente nel 1987 con il demo All we need is cheez, seguito poi due anni dopo  da un altro demo, ovvero Giallo, e dal seminale full length Ultimo Mondo Cannibale. Questo primo periodo è stato quello più grind oriented, debitore di Carcass, Napalm Death e Repulsion, anche se già progressivamente si era fatto strada, nel modo di scrivere canzoni, quel death metal primitivo che si sarebbe concretizzato con la realizzazione di Horror Of The Zombies nel 1992.

Quest’ultimo album doveva essere la summa di quanto composto fino a quel momento dagli Impetigo, e effettivamente Horror Of The Zombies è proprio questo. Venne registrato nel minor tempo possibile per risparmiare denaro ai Pogo Studio di Mark Rubel i primi di agosto del 1991, sfruttando la preziosa esperienza maturata con la registrazione dell’EP Faceless poco tempo prima.

Dopo l’intro registrata con la voce del serial killer Henry Lee Lucas (ricordo che sono stati proprio gli Impetigo a utilizzare per primi questa pratica, ormai diffusissima, di mettere campionamenti di film o registrazioni varie tra le tracce), il disco parte con la famigerata Boneyard, uno dei successi maggiori dell’intera discografia del gruppo. Una traccia semplicissima, caratterizzata da un costante “tupatupa” da headbanging e da un riff elementare ma che si piazza in testa facendosi spazio tra i neuroni senza spostarsi più, debitrice verso i Master più groovy e ai testi di un’altra band seminale, ovvero i Macabre.
Si continua con un’altra intro,  forse una delle più famose in assoluto, tratta dal film Deadbeat at Dawn di Jim Van Vebber. Un piccolo monologo memorabile (I just fuckin’ hate people, and I don’t care!) addirittura ri-registrato completamente dagli Impaled nel già citato album tributo, apre la strada a I Work For The Streetcleaner: traccia a metà strada tra influenze carcassiane, specie a livello vocale, e altre provenienti da band come i Deceased. Una traccia più complessa rispetto a Boneyard, ma sempre assolutamente catchy. Tra le migliori del lotto, senza dubbio.
Si prosegue con il monologo di Montag il Magnifico, protagonista del film culto Wizard of Gore datato 1970, che introduce l’omonima traccia scritta quasi completamente dal chitarrista Scott. Le atmosfere si fanno più lente e soffocanti, alla maniera degli Autopsy, anche se intervallate da blast beats che richiamano il grindcore di stampo noise.
Segue un campionamento tratto dal film Flesh For Frankenstein del ’73 seguito da Mortuaria, la canzone perfetta per ogni necrofilo che si rispetti. A livello musicale tornano a farsi sentire le influenze dei Master e anche dei Massacre. Mentre l’inizio poggia totalmente su un tappeto di blast beats, la seconda parte continua con un tempo cadenzato in cui si fa strada l’ottimo assolo di Scotty.
Cannibale Ballet è invece la traccia più particolare dell’album, basata su un disco di canti tribali africani pescato nella collezione di LP del produttore Mark Rubel durante le registrazioni. Stevo recita, con la voce totalmente distorta dal pitch shifter, una poesia chiamata Cannibale Ballet speditogli da un suo amico di penna, tal Scott “Chainsaw” Lesperance. In sottofondo i tamburi di Dan battono un ritmo composto sul momento.
Finisce quindi il lato A. Il tempo di girare la cassetta ed ecco che parte Trap Them And Kill Them, stavolta senza intro per non frammentare troppo l’album dopo la precedente Cannibale Ballet.  Parti spaccacollo da pogo come quella dopo l’urlo “You sick motherfuckers!” di Stevo, blast beats e rallentamenti sono gli ingredienti principali di questa traccia. A livello di testi, invece, spuntano citazioni da Cannibal Holocaust dal quale è tratta la registrazione audio all’inizio della corta Cannibal Lust; forse la traccia più rivolta al grind dell’intero album, con il basso distorto di Stevo in primo piano assieme alla batteria caotica di Dan.
Siamo giunti al tris d’assi finale: un gruppetto di tracce che, da sole, potrebbero valere l’acquisto del disco. La prima, introdotta dall’intervista all’assassino Daniel Rakowitz eseguita dal giornalista americano Geraldo Rivera, è Defiling The Grave: un chiaro tributo a Repulsion e Mortician. Ogni volta non posso fare a meno di urlare il ritornello, è inevitabile, come una sorta di antistress musicale. La traccia è veloce, quasi sempre tirata e con una metrica a livello vocale assolutamente azzeccata.
Staph Terrorist, penultima traccia accompagnata da una registrazione in giapponese tratta dal film splatter Guinea Pig: Flowers of Flesh and Blood, conferma quanto gli Impetigo siano in grado di creare parti groovy eccellenti. Il grido  “Master!” di Stevo richiama ancora una volta l’omonima creazione di Speckman, come sempre un punto fermo tra i riferimenti musicali del gruppo. Il testo tratta il tema (toccato anche da Chuck Palahniuk in Fight Club)  della corruzione del cibo servendosi dei propri “frutti corporei”, in modo da vendicarsi del sistema.
Il gran finale, invece, ci porta di peso nella brughiera inglese, e più precisamente nella cripta sotto la chiesa dove i protagonisti del bellissimo film “Non si deve profanare il sonno dei morti” (pellicola di Jorge Grau del ’74, altamente consigliato) intuiscono l’origine del proliferare degli zombi nelle campagne. Una traccia a suo modo epica, permeata da un’atmosfera molto vicina a quella del film in questione e che chiude in modo perfetto Horror Of The Zombies.

Certo, è vero che gli Impetigo non dispongono di una grande tecnica, anzi. Il livello dei musicisti è decisamente elementare, e anche la caratteristica voce di Stevo è una che o si ama o si odia. Quello che però riescono a trasmettere in modo indubbio è il loro intenso e onesto amore per ciò che suonano e principalmente per ciò che ascoltano. Erano e sono dei fans prima di tutto, e non lo nascondono.
Horror Of The Zombies è prima di tutto genuina dedizione al genere; inoltre è marcio, da headbanging furioso, talmente old school da far sembrare i Goonies un film del 2009.
Senza contare il fatto che, ancora oggi, schiere di gruppi traggono a piene mani da questo pezzo di storia gli spunti per fare musica.
Album indispensabile.

Michele “Panzerfaust” Carli

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Tracklist:

1. Boneyard
2. I Work For the Streetcleaner
3. Wizard of Gore
4. Mortuaria
5. Cannibale Ballet
6. Trap Them and Kill Them
7. Cannibal Lust
8. Defiling the Grave
9. Staph Terrorist
10. Breakfast at the Manchester Morgue (Let Sleeping Corpses Lie…)

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