Recensione: Hospodi

Di Gianluca Fontanesi - 10 Luglio 2019 - 0:06
Hospodi
Band: Batushka
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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66

Una volta il black metal risolveva le sue faide interne con un po’ di sane coltellate, qualche omicidio ed altre amenità assortite; oggi si sposta tristemente tutto nei social network e contribuisce a creare parodie su parodie travolgendo miriadi di band in un alone di grandissima tristezza. Spesso di queste diatribe non ce n’è nemmeno bisogno, e d’altro canto viene quasi da pensare che il proclamare in continuazione vincitori e vinti e soprattutto il fomentare indignati eterofili di varia natura sia parte di una strategia di marketing ben precisa. Bene o male l’importante è che se ne parli, ed è sotto questa logica che tantissime band diventano veri e propri fenomeni mediatici, si salvano dall’oblio o sono sulla bocca di tutti dopo aver prodotto un solo disco in carriera. 

La storia dei Batushka più recenti ormai la sapete tutte non è nemmeno il caso di rivangarla; noi di Truemetal.it scegliamo di non schierarci e di non emettere sentenze. Non siamo nè giudici nè carnefici e crediamo che il limitarci alla musica sia la cosa migliore da fare. Purtroppo o per fortuna, Hospodi non è affatto una carogna da buttare in pasto alle iene, anzi, a tratti si rivela anche un disco sorprendente e piuttosto ben suonato. Indubbiamente il contratto con Metal Blade ha sistemato parecchie cose in casa Batushka, soprattutto a livello di produzione e professionalità. Non aspettatevi un Litourgiya parte seconda perchè siete fuori strada; questi Batushka non ripropongono l’esordio pari pari ma ne evolvono il sound e vanno in cerca di altre soluzioni. Il vecchio trademark basato sui canti ortodossi rimane ma non è più l’attore protagonista in quanto viene usato come un’importante parte integrante e lasciato “a lato”; tutto ruota quindi attorno allo scream di Варфоломей e la proposta diventa più snella e meno opulenta, potremmo anche dire commerciale, e riesce comunque ad offrire una manciata di grandi brani e una tracklist che non viene mai a noia.

L’accoppiata iniziale WozglasDziewiatyj Czas scalda gli animi a puntino con un’intro lunga e salmodiante e si inizia a metabolizzare il brano già dai primissimi ascolti. La struttura è piuttosto semplice, così come il riff portante e gli allelujah di sottofondo sono tamarrissimi quanto efficaci. Il lungo ponte spezza l’incedere e tutto sommato siamo di fronte ad un brano più che discreto. Wiezczernia la conoscete già col suo black’n’roll e le parti in doppia cassa piuttosto intense ed evocative; il coniglietto dal cilindro, anzi dal saio, viene però estratto con la seguente Powieczerje, che è a tutti gli effetti un brano pazzesco. L’incedere è ipnotico e psichedelico, con questo arpeggio che si ripete in continuazione e i canti liturgici che presto arrivano a rafforzare il costrutto. Lo scream di Варфоломей è presente solo nella parte centrale, dove si varia per poco sul tema, giusto il tempo di dare un pretesto di ariosità prima di tornare nel vortice. Polunosznica è uno dei brani più furiosi del lotto e ne è anche stato il primo singolo; ormai dovreste averlo ben metabolizzato o infamato a seconda del dove vi siete schierati.

Utrenia è un brano potente e marziale e che riprende in apertura i vecchi Batushka; passa al black nella seconda parte e di sicuro qualche accelerazione in più non avrebbe fatto male. Gli stoppati però tirano a dovere e il ritualismo di base è molto ben riuscito. Pierwyj Czas aumenta i bpm e Варфоломей ha spesso il difetto di imitare la chitarra nelle sue linee vocali quando un po’ di fantasia in più sarebbe stata sicuramente gradita; buoni invece gli inserti in doppia cassa e il finale del brano molto evocativo. Tretij Czas nella sua fase iniziale è molto ben costruita e ipnotica; le chitarre calano l’ascoltatore in un’atmosfera tesa e plumbea e che presto si sprigiona in maniera piuttosto feroce. Nel momento in cui deve però esplodere il brano prima tira il freno a mano poi rimane dov’è ed è un peccato, di questo ne risente anche il finale. Szetoj Czas si assesta sempre sui tempi di batteria nè troppo veloci nè troppo lenti e risulta un pezzo di passaggio che si ascolta piacevolmente ma che non emoziona più di tanto; la seconda parte in ogni caso è migliore della prima ma cambiano solo le chitarre e la sezione ritmica praticamente tira dritto. SI chiude con Liturgiya, che è un brano quasi doom e strumentale per il 90%; andava decisamente sfruttato e soprattutto arrangiato meglio in fase vocale, così sembra un brano lasciato a metà, incompiuto.

Luci e ombre quindi su Hospodi e in un certo senso era prevedibile dopo mesi e mesi di tumulti. Ci sono però molte soluzioni interessanti e nuove per i Batushka, che sì costruiscono molto ma vanno ad incappare in un songwriting che non sempre è lucido e ha le idee chiare. Peccato, perchè con qualche accorgimento in più i brani sarebbero stai più corposi e avremmo potuto avere tra le mani qualcosa di molto più rilevante. Powieczerje vale da sola l’ascolto del disco e certifica che comunque questa band, vera o falsa che sia, le capacità di comporre grandi brani le ha. Una sezione ritmica più varia e un riffing meno scolastico e con progressioni più bislacche sicuramente darebbero il giusto valore aggiunto a una proposta che comunque sciorina tour alla stessa velocita di un amplesso tra conigli.

Secondo noi Hospodi è un disco interessante e che merita di essere preso per quello che è senza troppi giri di parole; non è assolutamente un capolavoro ma delinea strade che in futuro potrebbero portare grandi soddisfazioni sia alla band che ai fan. Ci congediamo sperando che su questa vicenda si inizi finalmente a parlare di musica e non di tribunali, di sentire invece di sentenze e chissà, magari arriveremo anche a pensare che two Batushka is méi che uan. 

 

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