Recensione: House of God

Di Abbadon - 8 Novembre 2003 - 0:00
House of God
Band: King Diamond
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
Nazione:
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87

“Suddenly there she was, in a halo of light
Suddenly there she was, silvery black and white
The bluest magical eyes staring right into mine
Never ever had I seen in a wolf, such a beautiful beast”
King Diamond – “The Trees have Eyes”

Terzultimo disco della fortunatissima discografia del danese Kim Bendix Petersen, in arte King Diamond, “House of God” introduce la carriera del grande singer al nuovo millennio. Uscito appunto nel 2000 House of God è il dodicesimo disco della carriera solista dell’artista (e ventitreesimo contando i Mercyful Fate), e si può dire tranquillamente che sia forse il prodotto in assoluto più singolare e geniale (forse con “The Graveyard”) del Re per quanto riguarda gli argomenti trattati. Che King abbia sempre mostrato un genio perverso, peculiare ed inimitabile per ricreare le sue storie è noto, ma credo proprio che qui abbia superato sé stesso, per l’ennesima volta. Qui si parla nientemeno che del rapporto e del confronto uomo/Dio, o meglio del rapporto umanità/divinità (qualunque deità esse siano, il discorso che King fa può essere assimilato alla maggior parte delle religioni, cosa di non poca difficoltà), e per trattare tale argomento Diamond si affida, musicalmente parlando, al suo fidato compagno di mille avventure Andy LaRocque, al secondo chitarrista Drover, al bassista Harbour e al battersita Herbert. Il platter si presenta con un artwork molto singolare, che vede una specie di figura maligna con una corona di spine in testa e un crocefisso (un caso sia disegnato al rovescio? Non credo proprio) sul retro. Aprendo la confezione troviamo un booklet sul quale, oltre ad esserci i fondamentali testi, sono scritti alcuni particolari e storie inerenti le fonti del concept (inventato certo, ma a dir di atmosfera surreale è poco). King in pratica dice di ispirarsi ad una storia vera a lui tramandata, una storia però talmente scioccante da poter essere raccontata solo cambiando i nomi dei protagonisti e dei luoghi delle varie vicende, racconto che secondo me raggiunge il culmine se chi vuole sentirlo si immedesima, con tutti i suoi credo, nel protagonista della vicenda, scoprendo così numerose sfumature altrimenti non percepibili. Musicalmente House of God è piuttosto buono, migliore rispetto ai lavori del recente passato anche se indietro rispetto ai masterpiece fine anni ottanta, le ritmiche di alcune tracce ricordano molto quelle dei primi Mercyful Fate, pur con una dose di potenza musicale inferiore e maggiore autocontrollo. Anche la voce è buona, anche se non così tagliente e sacrale come ai vecchi tempi. Le ottave si sono abbassate, ma non si perde l’intonazione, così come non mancano le dosi, centellinate ma presenti, del falsetto tipico di King Diamond, al quale si aggiunge una riuscita timbrica gutturale. Peccato che la produzione non sia delle migliori che si siano viste, tuttavia non siamo neppure messi così malaccio. Ma vediamo l’evolversi di questo grande concept lungo le ben 13 tracce che lo compongono. Il disco attacca con la spiritica e lugubre “Upon the Cross”, una classica musica carica di mistero ove una voce da oltretomba racconta la storia di Colui che sulla croce non morì nonostante le torture e, attraversando il mare, giunse in Francia, dove costruì una chiesa su di una collina, chiesa atta a venerare e servire tutti gli dei. Glaciale. Il disco vero e proprio si apre con la melisseggiante “The Trees Have Eyes”, padrona di un riff che ricorda moltissimo quelli del disco suddetto, anche se di minor incisività. Il feeling comunque è molto alto, e ci si perde del mare di assoli che accompagnano un uomo a cavallo, uomo colto dai dubbi e dalle paure che aleggiano sopra la foresta che sta attraversando, conosciuta come “The Devil’s Hide”. Grandissimo il senso di inquietitudine che viene trasmesso tramite gli strumenti all’ascoltatore, che sembra davvero sia braccato da qualcosa. Incrocia infatti un lupo, che gli fa pregustare la fine, coi suoi occhi blu. Lo sventurato viandante, accompagnato dal bell’arpeggio iniziale di “Follow the Wolf”, molto confortante a dire la verità, si sente già perduto quando il magico lupo, senza proferir parola, gli dice “Seguimi”. Il nostro segue la fiera incalzato da un riff roccioso, che nel frattempo ha rubato la scena all’arpeggio. Per il resto la song si sussegue su delle ritmiche belle spedite, una sonorità piuttosto pesante e un cantato come sempre all’altezza della situazione. Su un secondo arpeggio i due protagonisti della vicenda giungono ad una chiesa su una collina, chiamata “House of God”, sulla sua porta vi è scritto “Questo posto è terribile”. Da fuori la chiesa appare vuota, e un’alone di oscurità la circonda, tuttavia, scacciando le paure, il viandante entra, accompagnato dalla chiusura in fade della canzone, che lascia spazio alla spettacolare titletrack. “House of God” e proprio una meraviglia musicale, basata su una voce estremamente suadente, che narra l’incredibile metamorfosi della chiesa, una volta entratovi il passante, e su una combinazione di tastiere (settate a organo) e chitarra elettrica che lasciano di stucco. Anche il riff della chitarra ritmica è davvero ben eseguito, il basso dà un tocco di oscurità per un mix sensazionale, sensazionale al pari di quello che succede. Infatti, come già detto, la chiesa cambia completamente aspetto, diventando splendida, e non solo lei subisce questa metamorfosi. Infatti il lupo si rivela essere una splendida fanciulla, un vero amore a prima verso questo angelo, e un bacio, accompagnato da uno splendido ed ispiratissimo assolo, fa rendere conto al viandante di non essere più solo ma… …ma una musica ovattata, elettrificata ed incalzante, lo fa sparire, per portare al suo posto un nero ometto seduto vicino all’altare. Ed attacca “Black Devil”. La prima parte di questa song è abbastanza più noiosa delle precedenti, anche se c’è un miglioramento con l’andare del tempo e, nonostante l’andamento ridondante, la traccia non annoia, pur rimanendo un gradino sotto le prime 4. Da segnalare soprattutto il lavoro della chitarra elettrica negli accompagnamenti, davvero da manuale, così come il falsetto di un King in piena forma, falsetto che canta il senso di smarrimento del protagonista, inquieto al fatto che questo nero diavolo lo guardi impassibile, senza fare nulla. Fuori dalla chiesa è autunno, le foglie cadono e inizia a piovere, ma l’angelo torna nella chiesa, e gioca col suo “innamorato” in un confessionale. Lui fa il prete e lei custodisce in cambio i suoi sogni. Questo è il tema trainante della sesta song, l’ottima “The Pact”. Su una base discretamente dura, che ricorda vagamente quella di “The Trees have eyes” per metriche e emozioni suscitate, l’angelo racconta, accompagnato da uno splendido assolo di LaRocque, di aver firmato un patto, un patto al quale non si può sottrarre se non con l’amore. Se lui darà una prova d’amore, trovando un nuovo custode per la House of God, allora lei sarà libera di andarsene sotto forma di una donna, ma c’è solo una settimana di tempo, altrimenti ella morirà. Forte del suo amore, il viandante dice che la aiuterà. Dopo il bellissimo e struggente intermezzo “Goodbye”, dotato di una sublime combinazione di chitarre che trasudano sentimento e dolore, si arriva alla velocissima, goduriosa, “Just a Shadow”. Qui iniziano le prime sorprese. Solo nell’oscurità della chiesa, solo con la luce di una candela, il nostro inizia a chiedersi se tutto quello che era successo era vero, oppure si trattava…. solo di un’ombra, e inizia a porsi domande sulla vita e su tutto ciò che è divino, se vale davvero la pena seguirlo, crederci, o lasciare perdere. Queste emozioni vengono messe a nudo dal falsetto (qui presentissimo e usato a regola d’arte) e dalla musica irriverente e diretta della track, che culmina in degli ottimi assoli scatenati dalla 6 corde di Drover. Se “Just a Shadow si può giustamente considerare una delle perle del disco, altrettanto possiamo dire della nona “Help!!!”, che tuttavia è clamorosamente differente. Lenta e pesante in principio, con effetti sonori fastidiosi, Help si sviluppa in un mid tempo molto pompato e tecnicamente ben eseguito, che aumenta ancora le crisi del nostro viandante, ormai in preda a emozioni da non sottovalutare e preso in pieno nel dilemma :  “chi ha trovato? Dio o Satana?”. Una situazione del tutto non invidiabile che prosegue nella tremenda “Passage to Hell”, una delle tracce più lugubri di King Diamond, basata su un’atmosfera barocca e spettrale, ideale da sentire di notte per gli amanti del genere. Il sangue scorre lungo le braccia del protagonista, mentre vede un cupo buco dove prima risiedeva l’altare, e dal quale gli sembra sentire la sua stessa voce chiamarlo…. suona una campana…. ma nella chiesa non c’è nessuno, nessun’altro. Entrato nel buco, l’amico di King, colui che nel booklet viene indicato come tramandatario al Re Diamante di questa storia allucinante, si trova nei freddi ambienti di “Catacomb”, una song estremamente ben scandita da una batteria in un momento di auge (mai spettacolare nelle altre canzoni). Terza song quasi interamente interpretata in falsetto, che seppur non quello dei tempi d’oro si difende bene, Catacomb presenta dei grandi stacchi melodici, perfettamente sintetizzati nell’assolo di lead guitar verso metà pezzo, stacchi che accompagnano il nostro amico, armato solo di candela, nella catacomba della casa di Dio, ove, oltre ai resti dei fedeli, trova una statua della Madonna vicino a qualcosa di strano. Rotta la statua della Vergine Maria, avviene una cosa scioccante : viene alla luce una mummia, deperita, con sul capo una corona di spine, il che, sapendo chi portava quel simbolo, causa un terrore indescrivibile al nostro, che fugge in preda al panico. Gli viene proprio da dire “This Place is Terrible”, così come scritto sulla targhetta all’esterno della chiesa, e così come scritto accanto al numero della docicesima canzone, una delle migliori a mio avviso di un album finora non eccelso musicalmente, ma spettacolare nel complesso. Il riff e il sound tutto (duro, graffiante ma allo stesso tempo sontuoso) della penultima canzone di “House of God” è davvero accattivamente e porta all’ultimo miracolo : tornato nella chiesa, il nostro vede un bagliore assoluto provenire le catacombe, bagliore che acceca e inonda tutto l’edificio, facendo da preludio ad una entità terrificante, che dice delle parole che non vi voglio dire, lasciandovi il gusto di scoprirle leggendo il testo, parole comunque incredibili e spiazzanti.
L’incredibile House of God finisce col dolce arpeggio di “Peace of Mind”, melodia introspettiva e magica che chiude forse il più folle capitolo tra quelli mai passati per la testa del Re Diamante, uno dei più grandi geni musicali, in materia di concept, della storia della musica. Peccato solo per il lato puramente esecutivo che, seppur buono, non è quella più quello degli esordi, altrimenti sarebbe uscito, e qui è proprio il caso di dirlo, un lavoro della Madonna.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist

  1. Upon the Cross
  2. The Trees have Eyes
  3. Follow the Wolf
  4. House of God
  5. Black Devil
  6. The Pact
  7. Goodbye
  8. Just a Shadow
  9. Help!!!
  10. Passage to Hell
  11. Catacomb
  12. This Place is Terrible
  13. Peace of Mind

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