Recensione: Howling Sycamore

Di Simone Volponi - 19 Febbraio 2018 - 14:00
Howling Sycamore
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Il talentuoso chitarrista e produttore Davide Tiso (Ephel Duath, Gospel Of The Witches), è sempre stato affascinato dal simbolismo dell’albero di sicomoro, che ha un significato speciale nella religione egiziana come ponte tra il mondo dei morti e dei vivi. Visivamente il sicomoro colpisce particolarmente in inverno quando acquista un fascino da fantasma: la corteccia diventa bianca e riflette la luce lunare in modi ultraterreni, portando non solo un senso di mistero ma anche una certa componente di solitudine e dolore. Queste sono state le ispirazioni per Tiso quando ha assemblato il suo nuovo gruppo extreme/metal Howling Sycamore.
Musicalmente l’idea è quella di fondere insieme diversi stili per creare una identità a suo modo peculiare. Ecco dunque un mix di batteria estrema, chitarre stratificate e voce metal old school. A questo Tiso ha voluto aggiungere anche un sax baritono e assoli tipici della scena death metal, e per raggiungere il risultato finale ha chiamato a raccolta artisti di livello, in primis Jason McMaster, ex cantante dei Watchtower e Dangerous Toys, e il batterista Hannes Grossmann (Necrophagist, Obscura). A questi si sono poi aggiunti in qualità di ospiti speciali Bruce Lamont (Yakuza, Brain Tentacles, Corrections House) al sassofono, Kevin Hufnagel (Dysrhythmia, Gorguts) e Fester (Burials, Humorous) alle chitarre.

Sinergie interessanti che dopo un anno di lavoro mettono in scena l’omonimo debutto. Sin dall’iniziale “Upended” troviamo tutti gli ingredienti ricercati da Davide Tiso: batteria in blastbeat, riff di chiara matrice death, le svisate del sax che si intrecciano distorte sul tessuto ritmico estremo, e la voce declamatoria e anni ottanta di McMaster quale elemento di maggiore dissonanza. L’impatto iniziale disorienta ma conquista in quanto si avverte la personalità che gli Howling Sycamore cercano di ricamarsi addosso, senza inseguire trend specifici.
Anche in “Obstinate Pace” la batteria è furiosa, salvo poi regalare stacchi per momenti di quiete prima di tornare a scatenare l’inferno. Veramente efficaci le vocals, vicine per certi versi all’impatto emotivo del compianto Warrel Dane. Difficile individuare una melodia catchy, non ce ne vogliono essere, non c’è nessun ritornello da immortalare, ma piuttosto una serie di frammenti interni alle singole composizioni che vivono di luce propria. Il sax estremo di Lamont si sostituisce agli assoli di chitarra, e l’effetto è ipnotico.
Bella “Let Fall”, dall’apparenza più ordinata ma assolutamente particolare, con un McMaster schizoide che sembra perso in un manicomio infernale. L’ottima produzione permette di catturare tutte le sfumature che confluiscono all’interno di questi piccoli gioielli all’avanguardia dell’estremo. Come “Midway” caratterizzata da un arpeggio maligno in sottofondo e dalla migliore linea vocale del disco, che ricorda proprio i Watchtower, con un’ottima parte finale dove spicca un assolo in odore di Death (la band).
C’è spazio anche per un momento acustico (sembra di ascoltare “Voice Of The Soul” proprio dei Death, ma in versione cantata) con “Chant Of Stillness”, dal bell’effetto ancestrale.
Descent To Light” offre un altro saliscendi sonoro, tra la batteria terremotante, stacchi marziali, le vocals che si inaspriscono e vanno a coprire un’ampia gamma di sentimenti, tutti protesi verso un senso di tragedia dal forte impatto. La strumentale “Dysphorya” ci estrae da questo viaggio sui generis, e ci lascia la voglia di ripetere l’avventura, segno che molto è rimasto come traccia del passaggio degli Howling Sycamore.

Una band che non si colloca facilmente, che non si può accostare a un gruppo preciso, tranne citare i svariati richiami, che siano i Death, i Nevermore (nell’approccio vocale) oltre alle precedenti esperienze dei vari membri, partendo ovviamente dagli Ephel Duath del mastermind Davide Tiso, passando per i Watchtower e le varie band di Bruce Lamont, che va segnalato tra i mattatori dell’album. Questo debutto, primo passo benedetto dalla Prosthetic, è dunque tutt’altro che un ascolto facile, e di sicuro al momento di lanciarsi nell’avventura Tiso e soci si saranno posti il problema di essere una band per pochi, ma sono andati avanti solidi e decisi per la loro strada, senza amalgamarsi a nessuna branca della scena metal.
La tecnica notevole è sfruttata per costruire canzoni stranianti ma con una logica che si svela e lascia piacevolmente sorpresi. Consigliati a chi vuole osare.

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