Recensione: Human Era

Di Eric Nicodemo - 18 Giugno 2015 - 8:00
Human Era
Band: Trixter
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Sembra proprio che alcuni complessi si ostinino a vivere negli anni Ottanta, con l’intento di guadagnarsi la fiducia di chi ama e ha amato quel periodo irripetibile.

I Trixter, fondati dal cantante Peter Loran e dal chitarrista Steve Brown nel 1984, si affacciarono sul mercato solo nel 1990 pubblicando l’omonimo debutto, ruspante hard rock che, preannunciato dalla copertina fumettosa, voleva riproporre la tipica effervescenza hair metal in un contesto storico-musicale più disincantato, depresso dalle nubi malauguranti del grunge e plastificato dal cattivo gusto delle boy bands. E così l’esordio, grazie alla solita ricetta a base di riff catchy e capelli lunghi, riuscì a strappare un disco d’oro, impresa non da poco visto il declino del genere. Dal successo iniziale, si innescò l’attesa parabola discendente, fino allo scioglimento nel 1995 dopo il fiacco “Undercovers” (raccolta “promiscua” di rifacimenti).

Riunita la line up originale, i Nostri ci riprovano con questo “Human Era”, laddove il discorso era stato interrotto con il precedente, ottimo “New Audio Machine”. Già, perché “Human Era” è il tipico prodotto adatto ai nostalgici e a tutti coloro che non hanno abbastanza di hair metal ipervitaminizzato, energia vecchio stampo che scorre a fiumi in “Rockin’ To Edge Of The Night”. In effetti, con una produzione più vetusta, l’opener non sfigurerebbe in un album anni Ottanta, condividendo i suoni, la foga e la baldanza di quegli anni.

Suonata e cantata con il giusto trasporto (il coro ha un grip davvero trascinante), non rivoluziona le nostre certezze ma si fa apprezzare per brio e tiro come la scalmanata “Crush That Party”, tutta velocità e cori viscerali (con assolo dall’inconfondibile sentore Seventies).

Alza il tiro “Not Like All The Rest”, con le sue armonie schiette e intriganti, ben disegnate da chitarre cariche di adrenalina e groove. Giocata tutto sul ritornello spumeggiante e non troppo abusato, è la hit del platter che potrebbe spingere all’acquisto gli amanti del lato più solare e giovanile del glam losangeliano. Promossa a pieni voti.

For You” scorrazza impaziente ancora sulle strade del sunset strip. Il coro dilatato è sempre accompagnato dal frenetico drumming. Vistosa la sessione chitarristica, dinamica e ricca di spunti.

Every Second Counts” fa parte del gruppo delle canzoni emotive, centrando in pieno il “fattore nostalgia”: voce calda ad aprire, chitarra squillante e refrain suadente. Fulcro del brano, l’accompagnamento della sei corde che rende alla perfezione la voglia di festa e giovinezza senza pensieri tutta “all’americana”.

Il momento alla Bon Jovi non può mancare nelle vesti dell’acustica “Beats Me Up”, dal loop ripetitivo ed assuefante (ma non indimenticabile), e da “Good Times Now”, canzone che ha nel sangue il country rock.

Non manca il momento magico della notte con “Midnight In Your Eyes”. Plettraggio vivace e le luci della ribalta brillano forti nel richiamo del coro, dotato della giusta alchimia tra pathos, atmosfera e immediatezza, per uno dei pezzi più scenografici nel disco.

L’elemento irrinunciabile del platter rimane la voglia di muoversi, di suonare canzoni che rendano al meglio il significato di hard’n’roll. Pulsioni naturali per i Trixter ed espresse al meglio in “All Night Long”, dove è credibile l’immagine di un tuffo a copofitto nel buio al ritmo irrequieto dal guitar play e dell’impetuosa voce. La canzone è infuocata e non ha cedimenti, quasi avesse il chiodo fisso di mantenere lo stesso spirito del passato quando gli Hardline cantavano la cover di “Hot Cherie” e i Firehouse impazzavano con “Reach For The Sky”.

C’è bisogno anche di canzoni che sappiano miscelare l’anima stradaiola con la verve melodica del gruppo. Di conseguenza, “Soul Of Lovin’ Man” ha il suo perché, discostandosi dal lato solare e mellifluo per spingere l’acceleratore sulle strade del hair metal diretto, ruvido e potente. Canzoni come questa rendono veramente più movimentato il platter, evitando di sconfinare troppo nel rock FM.

Il locale chiude i battenti con la title track, altro pezzo colorito da venature country rock a là Nickelback e dall’hard rock lussuoso dei Bon Jovi. Con quel coro sinuoso e avviluppante, si ritorna a melodie di veloce fruizione, che fanno il proprio, spontaneo mestiere.

“Human Era” è un platter godibile, senza evidenti cadute di stile e difetti, se non quello di riproporre coordinate già assimilate e digerite negli anni. Chi adora i Nickelback e vorrebbe capire come suona un vero complesso di hard rock in salsa glam, consideri l’acquisto di questa “nuova” uscita. Comunque, se siete assuefatti dai vari Poison, Warrant e avete tutta la discografia dei Bon Jovi, “Human Era” vi intratterrà, entusiasmandovi con diversi ottimi shots (“Not Like All The Rest”, “Rockin’ To Edge Of The Night”, “All Night Long”), i quali potrebbero spingervi al fatal passo. Insomma, anche un remake può regalare non poche soddisfazioni.

Eric Nicodemo

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