Recensione: Human Light Leakage

Di Daniele D'Adamo - 12 Aprile 2014 - 19:09
Human Light Leakage
Band: Slatsher
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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74

 

Nel marasma delle definizioni dei generi metal, e soprattutto in quello delle sotto-tipologie, ne appare una relativamente nuova: ‘atmospheric/progressive death metal’, come citata dai francesi Slatsher per descrivere sinteticamente la loro proposta artistica. L’avverbio ‘relativamente’ è dovuto, poiché ‘atmospheric’ è un aggettivo già utilizzato nel campo del black, mentre ‘progressive death metal’ è una denominazione che si è sentita da più parti.

Ciò che è meno usuale, ed è quello che importa maggiormente, è che di band con uno stile simile a quello dei transalpini non ce ne sono poi molte, in giro. Uno stile frutto di un’evidente perizia tecnica ma in modo principale di una chiarezza d’intenti esemplare. Le possibilità di dissertazioni musicali attorno al nucleo di questo atmospheric/progressive death metal sono praticamente infinite, e perdersi per strada è un’azione facile anzi tentatrice. Fra tratti strumentali, segmenti ambient, dissonanze, cambi di ritmo e divagazioni varie, è davvero difficile mantenere il focus sull’identità della propria creatura musicale. Tuttavia, Rémi Gemelli e i suoi soci ci riescono, seppur privi di un’adeguata esperienza discografica, giacché “Human Light Leakage” è un debut-album che non ha predecessori di alcun tipo sin dalla nascita dell’ensemble, avvenuta in quel di Jarny (Lorena) nel 2007.       

Viene da pensare che a colmare ogni possibile lacuna sia stata la dedizione alla causa che gli Slatsher hanno profuso nella stesura dell’album. Una dedizione assoluta, talmente è ‘perfetta’ la costruzione delle song, calibrate sul costante mantenimento del leitmotiv portante, invariato lungo i sessantaquattro minuti che intercorrono fra “Human Error” e “Great Loop”. Un lavoro gigantesco ma pure certosino, che rende merito a un gruppo di ragazzi che davvero ha dato l’anima nella costruzione di un’opera così articolata e complessa come quella in esame.   

Gli innumerevoli stati emotivi cui si srotola il filo conduttore che lega le song passano dai più feroci assalti death all’arma bianca (“The Sap Of The Burned Tree”), dettati a volte dall’esagerazione dei blast-beats (“Luci”), alle lisergiche, morbide atmosfere di alcuni azzeccati intermezzi strumentali (incipit di “The Adamant”, brano dotato di eccellenti break rockeggianti). C’è da rilevare che, comunque, a dispetto della definizione citata all’inizio, gli Slatsher paiono prediligere l’aggressività pura e semplice (“Vorarephilia (Mosaic Of Flesh And Blood)”) invece che la tranquillità. A ben vedere anzi ascoltare, non sono poi così tanti i cali di potenza che avvengono nel platter. I cinque pestano come dei fabbri con una certa assiduità, relegando tutto sommato poco spazio ai voli pindarici.  

La melodia si mantiene su un profilo sostanzialmente basso ed è un peccato, dato che gli Slatsher, con la splendida strumentale “Fugus”, mostrano di saperci fare anche quando si tratta di voler essere un po’ più accattivanti e accessibili ai più. Una qualità in effetti tenuta da parte e che, al contrario, avrebbe potuto dare quel qualcosa in più a un disco in ogni caso completo e adulto in ciascuno dei propri dettagli. Del resto, forse, è qui che occorrerebbe lasciarsi andare con le emozioni, lasciando maggiormente libero di esplorare orizzonti più armonici e convenzionali l’indubbio talento in proprio possesso. Un ‘salto’ che, magari, non è stato osato in virtù di una non completa sicurezza nei propri mezzi.

Per questo, appaiono assolutamente ampi i margini di miglioramento insiti nel DNA della formazione d’oltralpe. In fin dei conti “Human Light Leakage” è solo il principio del tutto, e con un inizio così non si può che ben sperare, per il futuro.    

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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