Recensione: Humanure

Di Matteo Bovio - 16 Settembre 2004 - 0:00
Humanure
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Anno: 2004
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60

Una storia che si ripete… La Metal Blade li pompa, sfornano un disco che fa parlare di sè per patetiche questioni di censura, e l’ascolto offre solo delusione. Dopo il brevissimo trascorso underground, i Cattle Decapitation non hanno proprio saputo sfruttare la buona nomea che si erano fatti, proponendosi prima con un pessimo full-lenght e poi con questo titubante nuovo tentativo. La seconda prova sulla lunga distanza li vede rialzare timidamente la testa, ma ancora una volta l’impressione è che si parlerà di loro più per le vicende extra-musicali legate alla copertina e alla loro presunta attitudine provocatoria che non per la qualità dell’uscita in questione.

I primi ascolti, lo ammetto, mi avevano lasciato ben sperare: la speranza tipica di chi ha già visto tradite una volta le proprie aspettative, e non si vuole arrendere alla definitiva “caduta”. In realtà c’è anche un motivo più tecnico per cui inizialmente mi era parso di fiutare una certa ripresa: rispetto al debutto sulla lunga distanza, in questo nuovo Humanure il gruppo si attacca con maggiore caparbietà ai dettagli stilistici che li avevano in qualche modo contraddistinti. Alla lunga si nota come sia un attaccamento sterile e forzato, ma l’inconfondibile doppio cantato e certe soluzioni del riffing in un primo momento non possono non far riemergere il ricordo dei primi Ep.

Ma ancora una volta i Cattle Decapitation si sono dimostrati poco dotati d’ispirazione per poter dare alla luce un lavoro di una certa durata. Le idee si esauriscono in pochi passaggi di qualche traccia, come “Reduced To Paste“, con i suoi momenti vagamente carcassiani. Per il resto è tutto un lungo rivangare la stessa formula senza tirar fuori veramente nulla che faccia drizzare le orecchie. Anzi, noto anche una piccola “crisi d’identità” in questo gruppo, che pare non aver ben chiaro se vuole suonare Grind, Death, Brutal o che altro… Ben venga un intreccio di stili, soprattutto nell’estremo, ma qui sembra che ci troviamo proprio davanti a una certa confusione, generata forse dall’assemblaggio forzato di idee che non trovavano nessun naturale sviluppo. Questo è quanto ho sentito nelle armonizzazioni forzate di certi riff, negli arrangiamenti che cercano di celare il ripetersi eccessivo di alcune formule, nelle strutture innaturalmente lunghe per quel che è sempre stato il loro stile. Il fatto stesso che i miei commenti siano così freddi e slegati da qualsiasi coinvolgimento è un segno di quel che Humanure mi ha lasciato…

Non dubito del fatto che la delusione sia inficiata dalle aspettative personali. Cerco di rimediare tirando il voto fino a una “sufficienza”, che vuole rendere giustizia ad un lavoro che, almeno dal punto di vista tecnico e parzialmente da quello compositivo, non è mal fatto. Indubbiamente qualcuno troverà del buono in Humanure; e, contrariamente a quanto sia lecito aspettarsi, non penso che questo “qualcuno” sarà un intransigente amante dell’estremo. Certo non sarà un amante delle sonorità più rilassate, ma il target potrebbe essere identificabile con l’ascoltatore di Death Metal che non disdegna il Grindcore più tradizionalista. Una categoria molto vasta (e alla quale in parte appartengo), nella quale spero che i Cattle Decapitation possano trovare gli apprezzamenti che personalmente non riesco e non voglio fare.
Matteo Bovio

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