Recensione: Hvis Lyset Tar Oss

Di Fabio Gironi - 22 Ottobre 2003 - 0:00
Hvis Lyset Tar Oss
Band: Burzum
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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92

Mi sembra un dovere recensire un album quale Hvis Lyset Tar Oss nella ricognizione dei capisaldi del Black Metal. Non indugiando nemmeno un attimo nel narrare le celeberrime vicende legate al nome di questa band e alle gesta del suo unico e famigerato membro Varg Vikernes [o Greifi Grishnack come amava farsi chiamare al tempo], che oramai usciranno dalle orecchie un po’ a tutti, andiamo subito ad esaminare l’effettivo valore musicale dell’album.

Registrato nel settembre del 1992, “Hvis Lyset Tar Oss” [letteralmente “Quando la Luce ci Colpisce”] è il terzo full lenght della storia del progetto Burzum e da alcuni considerato come l’apice delle composizioni del Vikernes, certamente il più complesso da ascoltare ed il più “particolare” degli album a nome Burzum: difatti, questo contiene solo 4 tracce per un totale di 44:21, questo significa quattro brani di una lunghezza media di 12-14 minuti.

Lo stile è quello di un Black Metal non velocissimo come altri suoi “colleghi”, anzi, spesso lento e sempre depresso, con un riffing ossessivo e ripetitivo, condito dallo straziante e urlatissimo screaming di Vikernes [anche qui in un certo senso fondò uno stile] che aggiunge quel tocco di disperazione necessario a completare l’atmosfera, e a synth pesanti e catacombali sul lontano “sfondo sonoro”.

Speciale attenzione meriterebbero le liriche (meriterebbero perché sono solo in Norvegese quindi non accessibili a tutti): veramente poetiche [se mi passate l’aggettivo], malinconiche e terribilmente cupe.

La prima traccia “Det Som En Gang Var” [“Le Cose che c’erano” o “Ciò che una volta c’era”, omonima del secondo album, ma non estratta da questo], a mio parere la migliore del lotto, ed una delle più conosciute in assoluto, è un concentrato di quanto detto finora: lunghissima [14:21], ripetitiva, con uno screaming lancinante e malato, e con uno dei più bei testi del panorama Black Metal (che, si sa, non si può dire che brilli proprio di poesia e di originalità) con un verso finale davvero impressionante. Vorrei inserirla per intero in traduzione italiana per dare a chi ascolta questa song -e per chi non l’ avesse mai sentita- un idea di quello che stà urlando Vikernes:

Tra i cespugli fissavamo

Quelli che ci ricordavano altri tempi

E raccontavano che la speranza era andata

Per sempre…

Sentivamo le canzoni degli Elfi e

L’acqua che scorreva

Quello che c’era è ora andato

Tutto il sangue

Tutta la nostalgia e la tristezza che regnavano

E quei sentimenti che potevano essere toccati

Sono andati….

Per sempre…

Non siamo morti…non siamo mai vissuti.

 

Abbiamo in quest’album anche un accenno alla futura direzione artistica che verrà intrapresa dal Vikerns e dal progetto Burzum con lui: la quarta traccia, l’elettronica Tomhet [Solitudine], lenta, atmosferica e triste. Per alcuni forse alla lunga un po’ troppo ripetitiva, ma la mia idea è che la ripetitività sia un elemento essenziale delle composizioni di Vikernes, contribuendo alla creazione di un sound claustrofobico e ossessivo.

Non ritengo che la scelta di comporre interi album elettronicamente [Daudi Baldrs, Hildskjalf] sia stata “obbligata” per via dell’oggettiva impossibilità di suonare altri strumenti che non la tastiera in carcere, e lo faccio proprio per questo motivo: la composizione di Tomhet, stando agli archivi messi a disposizione da Vikernes stesso risale al Settembre del ’92, più di un anno prima della sua incarcerazione.

Evidentemente Vikernes [e non sarebbe stato il primo ne l’ultimo, inutile fare il nome degli Ulver] si accorse che l’elettronica poteva veicolare in modo corretto le emozioni che voleva esprimere nella sua musica.

Una notazione di rilievo merita il package del CD, in uno splendido digipack onorato dalla presenza di disegni della matita più famosa della Norvegia, il disegnatore di Troll per eccellenza, un uomo dalla vita solitaria che risponde al nome di Theodore Kittelsen.

Un album completo, e che ha fatto, inevitabilmente, la storia del movimento. Lasciando ancora una volta fuori tutto l’hype che si creò intorno alla figura di Vikernes e quindi della sua musica, quest’album merita comunque la fama che possiede, e non solo perché ci troviamo BURZUM scritto sopra.

Imprescindibile.

 

1- Det Som En Gang Var [Quello Che C’Era]

2-Hvis Lyset Tar Oss [Se la Luce Ci Prende]

3-Inn I Slottet Fra Droemmen [Nel Castello Del Sogno]

4-Tomhet [Vuotezza]

 

P.S.- Il recensore ringrazia Kristin Bøyesen per la gentile traduzione.

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