Recensione: Hybrid

Di Riccardo Angelini - 7 Novembre 2008 - 0:00
Hybrid
Band: Venturia
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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72

Il nome Venturia non giungerà nuovo alle orecchie dei più attenti. Sono passati due anni da ‘The New Kingdom‘, esordio promettente ma ancora acerbo, che introduceva in pompa magna i nuovi alfieri della scena prog francese. L’entusiasmo era parso da più parti eccessivo – il disco era notevole sì ma sotto vari aspetti perfettibile e ancora derivativo – e sulla lunga distanza avrebbe potuto compromettere il naturale sviluppo artistico della band. Così non è stato.

 

I Venturia hanno sempre avuto le idee molto chiare circa le proprie lacune e i propri punti di forza: le avevano nel 2006 e le hanno oggi. L’idea della doppia voce maschile/femminile rappresentava un elemento di novità rispetto alla tradizione progressive, e la malcelata tentazione per melodie e arrangiamenti ai limiti del pop aveva contribuito a dare mordente ai brani più ispirati. Bisognava tuttavia acquisire sicurezza nei propri mezzi, in particolare dietro il microfono, ed evitare di piegarsi alla necessità di suonare a tutti i costi “prog”. Così è stato, e ‘Hybrid’ immortala in dieci tracce il loro successo.

 

C’è una forte attitudine pop nei Venturia del 2008, che traspare da arrangiamenti diretti ma molto curati e soprattutto dagli intrecci vocali, estremamente orecchiabili, ruffiani al punto giusto. Alle spalle una base strumentale molto solida, con chitarre corpose e una versatile struttura ritmica, mai scontata, sempre puntuale nel dettare il cambio di passo. Le melodie, vivaci e spigliate, mirano a fare breccia immediatamente nella mente dell’ascoltatore, mescolandosi a influenze hard prog e metal. Piuttosto che i Dream Theater – comunque riecheggiati nella finale ‘Sublimated Dementia’, non a caso il brano più lungo e prossimo alla tradizione prog del lotto – il punto di riferimento prevalente diventano sempre più spesso i Queensrÿche, specie quelli di ‘Empire’, riletti attraverso suoni molto moderni che talvolta cozzano con una produzione un po’ deficitaria (basso e chitarra non ricevono certo il migliore dei trattamenti). Ma c’è molto altro nei Venturia di oggi, e basta ascoltare la sontuosa ‘Why? This Women’s Life’, con il suo raffinato intreccio di trip hop, sinfonia e metal per farsi un’idea del potenziale di questi ragazzi. A insaporire il tutto l’approccio volentieri faceto che emerge ora nei testi (‘Love Games’), ora nelle melodie stesse e nei soli (‘Running Blind’). Si capisce quindi come il minutaggio dei brani tenda a contenersi entro i quattro-cinque minuti, senza forzare troppo la mano con divagazioni strumentali eccessivamente astruse.

 

Il risultato è un album fresco, diretto, che pur nella sua impostazione non convenzionale si pone in contrasto con le trame solitamente impegnate e impegnative della tradizione progressive. I Venturia sembrano così ritagliarsi una propria dimensione specifica all’interno del panorama attuale: quello di band votata all’intrattenimento prima che all’arte, sia pure su livelli e con modalità radicalmente diversi dalla maggior parte dei gruppi rock/metal oderni. Rivolto a un pubblico più ampio di quello che l’etichetta “progressive” potrebbe lasciare intendere, ‘Hybrid’ si configura perciò come ragionevole compromesso fra svago e ricercatezza.

 

Da provare per chi cerca qualcosa di immediato ma diverso dal solito, vivamente consigliato a chi volesse ristorarsi per un po’ da ascolti più impegnativi.

 

Riccardo Angelini

 

Tracklist:

1. Will you save me?
2. Swearing lies
3. Be the one
4. Running blind
5. Pearls of dawn
6. Sparkling rain
7. Hottest ticket in town
8. Love gamers
9. Why? This women’s life
10. Sublimated dementia

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