Recensione: Hymn To Your God

Di Vittorio Sabelli - 19 Marzo 2014 - 16:25
Hymn To Your God
Band: Exhumation
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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80

Direttamente dall’Indonesia fanno il loro ingresso nel campo del death metal gli Exhumation!

Nome non proprio originale, visto che già almeno altre sei band se lo contendono, ma i tratti che li distinguono dai loro omonimi sono tanti, se ci immergiamo nella loro musica. Intanto chiariamo che il disco è una ristampa, visto che la sua uscita è datata 2012, un anno dopo il primo split, in compagnia di altre due band indonesiane, Goddess Of Fate e Nocturnal Kudeta. Beh, che dire! Questi giovani musicisti hanno una rabbia che fa gola ai ‘veri’ amanti del genere, e in particolare alla old-school, quella che si rifà a Morbid Angel, Vader e compagnia bella.

Il primo impatto è cruento, considerando la provenienza della band, che mette in mostra qualità e grande rabbia, espressa nelle sei tracce che compongono “Hymn To Your God”, ad esclusione della cover dei canadesi Blasphemy, “Ritual”, dal disco d’esordio “Fallen Angel of Doom…”, datato 1990.

Se l’opener “All Seeing Eye” e il suo lento ritmo cadenzato iniziale lascia sprazzi ad aperture black metal, ci pensa ben presto la furia di Agung dietro le pelli a dissipare ogni dubbio circa la violenza della quale i nostri sono capaci. E il cantante Punto è dotato di un growl potente e roco che declama ogni singola parola, incuneando nelle aperture musicali delle meteore incandescenti. Il ritmo sostenuto non scende per un istante, finchè il riff lento e pesante di “The Apotheosis” scaglia fulmini, sempre ben coadiuvati dalle chitarre del duo Yoga/Kusnan e dalla ritmica insaziabile di Gregorius e Agung. Le sezioni si susseguono in un vortice di emozioni, e un pregevole solo di chitarra chiude il brano in maniera più che convincente.

“Parasites And Enemies” cambia prospettiva, virando verso territori punkeggianti, ma solo per poco, visto che la strada ‘di casa’ i Nostri la conoscono bene, e si torna abbastanza naturalmente a torturare l’ascoltatore con ritmi infernali. Così come fa la successiva “Omnipotent”, che lascia qualche chance di respiro dopo la prima devastante sezione, grazie alla chitarra di Yoga, ma non c’è tempo per rilassarsi che la voce intrisa di rabbia allo stato brado di Punto vi prende per la gola e vi rimette in piedi a lottare tra le loro grinfie.

“Dominion” regala sezioni più varie ma comunque sempre aggressive e dinamiche, senza perdersi in filosofismi e chiacchiere, la band sfodera riff su riff come una fabbrica di Orchi ‘alla’ Tolkien. Tutto gira in maniera fluida e intrigante, anche il medium-tempo che introduce il solo di chitarra (melodico questa volta), ottimo palliativo per attenuare l’impatto, inevitabile nella sezione finale del brano.

La title-track cambia completamente prospettiva. Incentrata su un ritmo etnico di origini indonesiane, con strumenti tradizionali che ne ampliano il respiro, oltre a una voce femminile, soave e suadente. Solo uno sprazzo di luce nell’oscurità, visto che la conclusiva “Ritual” è un giusto tributo a una grandissima band quali sono i Blasphemy.

Ottimo disco d’esordio di una band sconosciuta che non solo i cultori del genere apprezzeranno, ma anche tutti quelli avvezzi alla violenza pura tramutata in musica. Negli anni possono senz’altro dire la loro nel panorama del death metal, quello nudo e crudo che da 25 anni dice la sua nell’ambito underground.

 

Vittorio “versus” Sabelli

 

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