Recensione: Hypnophonia

Di Roberto Gelmi - 7 Marzo 2017 - 10:00
Hypnophonia
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
80

Una volta, una sola,
nero spazio ci divora.
Puntellato di stelle,
che cadono ridendo nell’oblio
Dimmi dove andava
il mio pensiero,
forse passava come
un volto di straniero

 

Dopo l’album di esordio del 2012, “La Sposa del tempo”, tornano i Marchesi Scamorza, moniker dall’indubbia unicità, che vede riuniti giovani musicisti ferraresi, fautori di un prog. rock antistorico e fatato. Inutile citare i nomi di riferimento per simili coordinate musicali, si va dalla PFM ai Balletto di Bronzo, passando per Biglietto per l’inferno e Museo Rosenbach. Scaletta corta, due suite, in seconda e ultima posizione, testi poetici e un artwork suggestivo: bastano i crismi canonici di un albm prog. d’antan per promuovere i nostri? Vediamo la musica “da sogno” proposta.

L’opener, “1348”, ha un avvio atmosferico, dal sapore medievale, le prime parole sono prive di speranza (“la tua idea non vi salverà / cercate altre vie d’uscita”), ma il sound si fa ironico e si respira aria simil Yes. Un buon pezzo, con un finale più tirato e qualche licenza poetica. Mesto l’avvio della suite “Il Cammino delle Luci Erranti”, le tastiere dominano e vengono in mente le tinte gotiche dei Par Lindh Project. Bello lo stacco all’inizio del terzo minuto, con linee di basso vellicanti e improvvisi break ieratici di synth. Prima dello scoccare del quinto minuto torna la voce di Enrico Bernardini a dipingere un paesaggio lapidario e bigio. La musica dei MS ha il pregio di saper creare paesaggi sonori intrisi di mistero e peregrini, di questo si fa forte la composizione. Convincono meno i picchi più aggressivi, quasi hard rock, e certe strofe dai testi con rubato. La seconda parte e il finale, invece, regalano emozioni, in un crescendo onirico davvero trascinante. Degno di menzione il distico “Nessun confine di infimo spessore / Orge di colori secondari”, non manca davvero l’inventiva in fase di songwriting al combo ferrarese.
Poetica la seguente “Campi di Marte”, con testi “ondivaghi” (si veda il booklet). Ci sarebbe stato bene un arrangiamento di oboe, ma tant’è. Paolo Brini alle 4-corde si ritaglia la giusta visibilità, Lorenzo Romani non disdegna certe asprezze settantiane, che oggi si trovano ormai agli antipodi del nuovo metal dropped. Bernardini al microfono non osa, niente falsetto e glissati, questo un limite dell’album.
Prima della suite finale, è la volta dell’eclettica “L’uomo Col Fiore in Bocca” (ispirata al breve e fulminante atto unico pirandelliano del 1922). Tutto bellissimo, momento più alato la parentesi di pianoforte a tre quarti di brano. Come mettere in musica e parole l’angoscia di una morte tanto necessaria quanto ironica… “Aspettando senza fuga la sua fine/aspettare, aspettare la fine…” Il cerchio si chiude con i 13 minuti di “La via del Sognatore”, che riprende il titolo dell’album. Divisa in tre parti (La notte, Il sogno, Il risveglio), la suite è una rêverie caleidoscopica intessuta di cambi ritmici, d’atmosfera e fraseggi appaganti; un paradiso per i progster di ogni età. Gli ultimi minuti sono da brividi, le tastiere richiamano mondi perduti e trascinano l’ascoltatore tra lidi astrali (“Dimmi dove vai/mio sogno astrale/ forse ritorni ne tuo/mondo di silenzio”).

In definitiva è tempo bene investito quello impiegato nell’ascolto di “Hypnophonia”. Si esce rinfrancati e rigenerati dopo aver vissuto e assaporato il prog. dei Marchesi Scamorza. Certo, niente di nuovo, diranno i detrattori, però resta il fatto che si tratta di buona musica, suonata con perizia e con il vantaggio di saperci riconciliare con un passato musicale che sa di futuro utopico.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamnthys)

Ultimi album di Marchesi Scamorza