Recensione: Hypnosophy

Di Andrea Poletti - 3 Gennaio 2017 - 7:18
Hypnosophy
Band: Aenaon
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Esistono delle regole non scritte, viste quali cardini, entro certi generi che devono a volte essere distrutte, ancora meglio se oltrepassate; per ciò che riguarda il macro mondo del Black metal v’è quella regola non scritta dove nessuno tende a proporre sul piatto canzoni dalla verve positiva, canzoni che provino a discostarsi dal nero più assoluto. Certamente la musica degli Aenaon non goliardica ne tantomeno volta alla ridicolizzazione del concetto di black ma porta in seno la capacità di non deprimere e lasciare intravedere una luce alla fine del tunnel. Il nero, come confermato dagli artisti stessi è sempre la base creativa per ogni traccia, ma la sensazione di avere tra le mani musiche eseguite con la passione di un paese unico come la Grecia, ci lasciano bene sperare sulla carica positiva dell’intero album. Un gioco di contrasti, sfumature lievi mai come oggi di grande importanza. Dal precedente “Extance” targato 2014 l’unica vera modifica è l’inserimento in pianta stabile del sassofonista Orestis, prima visto come semplice guest, forgiatore di linee di fiati mai fini a se stesse, mai volutamente spot di qualche inciso più avanguardista, ma strumento cardine alla pari degli altri su cui oggi gli Aenaon concretizzano la loro progressione sonora. Una progressione che ha avuto uno slancio non indifferente dai precedenti capitoli, oggi siamo al punto di non ritorno e “Hypnosophy” è un ipotetico disco di transizione per una sfera compositiva molto più complessa; in fin dei conti la conosciamo tutti la storia del famoso terzo disco che diventa croce o delizia di ogni band su globo.

Una produzione molto più pompata e barocca, una progressione stilistica non indifferente e la presa di consapevolezza delle doti artistiche aumentate esponenzialmente rispetto a recente passato: questa la chiave per decifrare gli Aenaon A.D. 2016. Brani d’impatto, con i classici canoni di un album black metal come tanti che mai sazi si inseriscono alla perfezione dentro i ritmi più tribali e a tratti folkloristici di una terra sempre in cerca di nuove sperimentazioni. Così come i “fratelli” più grandi Rotting Christ, che han fatto del loro sound un marchio di fabbrica, dentro “Hypnosophy” si riesce a respirare quelle lande mediterranee che in pochi riescon a tramutare in veri concetti musicali. La partenza affidata a ‘Oneirodynia’ con il sax concependo ritmi ancestrali e i cambi di tempi al fulmicotone, ‘Fire Walk with Me’ e quel bridge da 2:39 a 3:01 che odora di passione pura. Uno spirito senza tempo che tra difficoltà del caso e volontà non ben chiare ci porta in molti lidi, sino ad arrivare ad un brano come ‘Tunnel’, che viaggia nell’avanguardismo scandinavo e ne fa insegnamento; un’ipotetica rivisitazione dei Vulture Industries  in chiave Ellenica. Molteplici i cambi di vocalizzi che intensificano l’esperienza e molte le idee in ballo, quasi a voler disorientare l’ascoltatore per i primi passaggi ma nonè  tutto oro ciò che luccica sia chiaro, il disorientamento non fa rima sempre con creatività. ‘Void’ oltre ad essere il brano più accessibile dell’intero lotto, vede al suo interno la presenza di Sofia Sarri, che in combinazione alla band ci introduce su sfumature che riprendono in parte i Moonspell del periodo più gothicheggiante. “Hypnosophy” di suo chiude le porte attraverso la gigantesca suite da quindici minuti ‘Phronesis/Psychomagic’ che sintetizza l’intero processo creativo del gruppo oggi, con molte idee geniali e una costruzione che non lascia mai cadere l’attenzione, pur andando a cercare quell’armonizzazione dei contrasti insito dal titolo sino dentro le oscurità delle musiche scelte. La Phronesis (saggezza in greco) si mescola all’irrazionale Psychomagic (psicoterapia di base shamanico che concentra l’attività surreale al fine di creare soluzioni ai problemi più profondi) per creare un’ipotetica jam-session ritualistica sfidando le leggi gravitazionali di tutto il creato sino ad ora. Un tentativo estremo di andare sempre più in la, questo sfrozo merita l’applauso a prescindere.

Connettendomi al discorso iniziale, dove per una volta abbiamo di fronte un album a tratti divertente da ascoltare, quasi benpensante, viene anche da chiedersi “perchè?”; forse le linee vocali scelte tendono a soffocare la mole di lavoro strumentale dietro, forse non si riesce a donare il giusto feeling alle parole scelte, ma a tutto v’è un perchè e noi non siamo tenuti a conoscere ogni risposta. Ciò che manca a livello caratteriale è la costanza, gli Aenaon pur avendo costruito il disco migliore della loro carriera ad oggi mancano di alcuni passaggi, non tutto sembra essere stato messo a fuoco, non tutto convince e la sensazione di aver voluto dare troppo risalto in certi passaggi al sax porta ad alcuni scompensi della gestione dei suoni. Manca qualcosa, mancano i dettagli che scivolano via spesso nell’immensità di questo grande calderone ribollente; forse la sintesi non è un dono di tutti. Confermiamo come questo sia un lavoro di mera transizione, qualcosa di molto più grande attende i Greci dietro l’angolo e se sapranno condensare le loro decine di idee in qualche canzone più concreta e “vera” saremo di fronte a grandi sorprese. Chi ha già studiato e goduto del suono dei nostri in passato non avrà difficoltà ad entrare in questo mondo, per tutti gli altri sono richiesti molteplici passaggi.

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