Recensione: I Compagni Di Baal

Di Damiano Fiamin - 25 Giugno 2012 - 0:00
I Compagni Di Baal
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
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65

Nota della redazione:

Dati gli accadimenti poco limpidi e le situazioni contraddittorie verificatesi alla precedente recensione de “I Compagni di Baal, in ossequio alla più totale imparzialità e nel tentativo di fugare qualsiasi tipo di polemica, la redazione di Truemetal ha preferito offrire una nuova stesura del pezzo curata da un membro interno ed effettivo del comitato redazionale, eliminando in tal modo alla radice qualunque possibile risvolto aggiuntivo alla vicenda.

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Disambigua: ebbene si, non vogliatemene, ma la recensione inizia con un incipit wikipediano. Quello di cui andiamo a parlare non è l’omonimo disco de L’impero Delle Ombre, anche se il gruppo salentino ha messo il suo zampino pure all’interno di questa produzione. Stavolta, abbiamo tra le mani un debutto: I Compagni di Baal sono un quartetto marchigiano che si ispira ad una miniserie televisiva francese uscita nel nostro paese alla fine degli anni ’60, epoca d’oro anche per quanto riguarda la musica. Chiarite le radici che spiegano l’aspetto estetico dell’album e il nome della band, non vi stupirete scoprendo che anche molte delle influenze principali del gruppo provengono proprio da quel periodo: Black Sabbath e Rush si affiancano a Banco Del Mutuo Soccorso e Osanna. Più recenti, ma non per questo meno rilevanti, gli apporti stilistici originati dall’ascolto de Malombra, Il Segno Del Comando e, ovviamente, L’impero Delle Ombre. Questi ultimi contribuiscono in maniera attiva alla realizzazione del CD grazie alla collaborazione di John “Goldfinch” Cardellino e Stefan, rispettivamente cantante e tastierista del gruppo pugliese. Vi siete incuriositi? Me lo auguro, perché ora andremo a sviscerare tutto quello che ci offre uno degli ultimi nati in casa Jolly Roger Records.

Approntiamoci all’ascolto con R.I.P. (vi ricorda nulla?) che, dopo una breve introduzione d’atmosfera, si getta a capofitto in un brano a metà strada tra i Goblin e l’hard rock di stampo italiano. Tastiere a profusione e riff graffianti riescono a creare un’intelaiatura che, pur non aggiungendo nulla alla storia della Musica, certo riesce a far partire il disco con il piede giusto. Notevole lo strumentale mediano, una cavalcata piena di note che si inseguono e si rincorrono prima di sfumare in un epilogo più cupo e ossessivo. Un buon inizio, che si protrae forse un minuto di troppo, ma che pone l’ascoltatore nel giusto umore per ascoltare L’orrore Che Abita In Me. Anche in questo caso, l’introduzione non può che portare alla mente Dario Argento e le soundtrack dei suoi film. Dopo il breve incipit, eccoci trasportati negli anni ’70, con riff smargiassi e un Hammond che pompano nelle casse del nostro stereo. Un vero viaggio nel passato, sebbene le sonorità siano ripulite e “aggiornate al nuovo millennio”. Personalmente, amo molto questo genere di musica, ma il brano tende a reiterare un po’ troppo a lungo lo stesso fraseggio, sminuendo l’effetto finale. La visione d’insieme è comunque buona, ma c’è una certa punta di rammarico per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato. Inutile crogiolarsi nel proprio dolore; la storia non si fa con i se e nemmeno le recensioni. Oltre La Luna è un pezzo più rarefatto dei precedenti; sebbene continui a riservare alcuni momenti piacevoli, tende a un generale appiattimento nei momenti cantati e risulta piuttosto blando. Niente di drammatico, ma passiamo oltre: Tra Potere E Libertà  esordisce con un arpeggio smorzato che fa da ponte a un crescendo strumentale, un amalgama armonica da ascoltare a occhi chiusi, assaporando ogni singola nota. La traccia è una delle più varie come composizione e, al contempo, una delle meglio riuscite dell’intero lotto. Quasi teatrale nell’esecuzione, spazia da momenti intimistici a esplosioni soniche, riuscendo a collegare perfettamente i vari passaggi. Icolanibai è un frullato che mischia gli Orne agli Ulver di Kveldessanger, uno strumentale delicato che non sfocia nel melenso, morbido come accarezzare la seta nel buio di una stanza. Dopo questo breve interludio, giungiamo alla maestosa apertura de Nell’Oscurità, un brano di hard rock a tinte scure, potente e intrigante che riesce ad alternare, in maniera abbastanza scolastica, riff massicci ad armonie più rarefatte. Niente di eclatante, ma comunque un buon pezzo. L’incipit di Sepolto Sotto Un Cielo è decisamente ingannevole: dopo un avvio lento e quasi sottotono, la traccia esplode, graffiante, in un crescendo brutale e sporco, un incalzante assalto sonoro alle nostre orecchie, senza mai concedere un attimo di vera tregua. Le occasionali pause sono solo delle ingannevoli ritirate strategiche che ci fanno abbassare la guardia in modo che i successivi incalzi ci colgano impreparati. La Danza Del Sangue si ricongiunge idealmente a Icolanibai, prima di lasciarsi andare e offrirci una proposta musicale che sintetizza efficacemente quanto già sentito finora: una chitarra che spazia tra riff pesanti e arpeggi cupi, un basso che pulsa potente, una batteria che martella veemente e una voce che accompagna in maniera efficace i diversi passaggi musicali. Il maestoso finale si gonfia e cresce, riempiendo le armonie e trasudando note fino allo sfumato conclusivo. Cala il sipario di velluto e i suoni si attutiscono. Spegnete le luci, grazie.

Siamo così giunti all’inevitabile epilogo. Contenti? Tristi? Piuttosto, un misto tra le due sensazioni. Abbiamo tra le mani un buon disco, ben registrato e convincente dal punto di vista della produzione e della realizzazione. I quattro membri del gruppo si danno da fare e ottengono un risultato complessivamente soddisfacente, con la chitarra di Carnali che ottiene il premio “miglior strumentista” dell’album, sottraendolo di un soffio a Seclì che, nonostante sia solo un ospite, merita una menzione d’onore per la sua abilità con le tastiere. Il problema maggiore è che la qualità della composizione non è sempre omogenea e, come esposto nel corso della recensione, capita spesso che si alternino momenti di grande estro creativo ad altri piuttosto banali. Un vero peccato, perché i Compagni di Baal dimostrano in più occasione di sapere il fatto loro.

A questo punto, non resta che attendere la loro prossima fatica per vedere se l’esperienza contribuirà a consolidare le loro abilità. Un’ultima nota: il disco ha numerosi distributori in giro per il mondo; qualora decidiate di acquistarlo, ricordate che il responsabile per l’Italia è Masterpiece!

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Tracce;

01.    R.I.P.
02.    L’orrore Che Abita In Me
03.    Oltre La Luna
04.    Tra Potere E Libertà
05.    Icolanibai
06.    Nell’ Oscurità
07.    Sepolto Sotto Un Cielo
08.    La Danza Del Sangue

Formazione

Luca Finaurini – Voce
Daniele Carnali – Chitarre
Diego Brocani – Basso
Giorgio Pantaloni – Batteria

Ospiti

Stefan Seclì (L’Impero delle Ombre) – Tastiera
Giovanni Cardellino (L’Impero delle Ombre) – Voce su R.I.P e Nell’oscurità

 

 

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