Recensione: I – Love After Death [EP]

Di Roberto Gelmi - 27 Aprile 2015 - 10:00
I – Love After Death [EP]
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2015
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
70

Un bucranio bianco su sfondo nero, questo il biglietto da visita del recente EP targato Skull Cowboys, gruppo attivo dal 2010, per volere di Andrea Congia.
Il combo cagliaritano nasce per dar vita alla trasposizione sonora dello spettacolo “Fuoco e Fiamme” a firma di Gianluca Medas (regista e scrittore sardo), opera rock liberamente ispirata al fumetto The Crow di James O’Barr, dal quale è stato tratto il celebre film con Brandon Lee.
Il moniker della band si rifà al nome di un personaggio dell’opera di O’Barr, ma eliminato dalla trasposizione cinematografica: il messaggero che annuncia ad Eric Draven la sua resurrezione ed il suo ritorno nel mondo dei vivi.   
Dopo aver musicato nel 2011 uno spettacolo dal libro Il Mistero di Sleepy Hollow di Washington Irving, il gruppo vive un periodo di crisi e avvengono alcuni cambi in line-up. Tre anni fa la band trae ancora ispirazione da Medas e crea le musiche per uno spettacolo basato sull’Apocalisse di san Giovanni Evangelista.
In breve, gli Skull Cowboys vivono di musica concettuale e la loro ambizione, seguendo le parole dei diretti interessati, «È quella di creare non solo un accompagnamento musicale alla narrazione, ma cogliere le atmosfere e le immagini di una narrazione per voce e rinnovarle in una nuova sintesi, che sappia andare oltre la mera descrizione didascalica.»

Oggi, A.D. 2015, il combo cagliaritano propone un demo autoprodotto, I – Love After Death, che riprende il discorso dello spettacolo “Fuoco e Fiamme”. Dopo anni di rimaneggiamenti si è deciso di mettere su disco i brani di allora, riarrangiandoli per l’occasione. Il risultato è una soundtrack dal vivo che racconta il cammino di vendetta del protagonista, dalla sua resurrezione alla sua definitiva fine, passando per le morti degli innumerevoli villain che trova sul suo cammino. Ogni brano è dedicato alla morte di un antagonista ma i temi musicali, con la tecnica del leitmotiv, sono ripresi e trasfigurati, a sottolineare il percorso del protagonista.

Si parte con “Hellfire”, intro pirotecnico con un guitarwork ispirato, parti di batteria variegate e tanta inventiva. La tecnica c’è e si sente, ma il sound non è freddo, tutt’altro. Siamo su sonorità tra progressive rock e metal, le atmosfere sono suggestive. Dopo un gracchiare di corvi, la breve “Knives” parte con una cassa dritta che più ignorante non si può. Il brano miscela, infatti, elementi di musica elettronica al tocco sapiente di Mario Pierno. “Mother Drug” attacca, invece, su ritmi lisergici a rendere l’idea di un languore floydiano. Gli inserti di chitarra acustica impreziosiscono la traccia, ma forse potevano essere più preponderanti e icastici, laddove il wah wah e i bending di chitarra elettrica sono protagonisti, risultando a volte troppo invasivi. Dopo alcuni armonici di basso, “Speedball” presenta all’avvio un bello slap, mentre Pierno sciorina un ostinato arzigogolato. Di certo la composizione rende mimeticamente l’idea dello sballo anfetaminico, ma le coordinate sonore risultano parecchio disturbanti. Probabilmente siamo di fronte al brano meno riuscito del lotto.
Penultimo pezzo, “Skunk” presenta un incipit suggestivo, dai ritmi dilatati, con synth spaziali. Il dialogo tastiere-chitarre è dimesso, ma affiatato. A metà brano l’atmosfera si fa via via più tirata e viene alla mente una canzone come “Repentance” dei Dream Theater, se c’è concesso il paragone. Convince il finale circolare, con tremolo di chitarra acustica.  “Krokodil” chiude l’EP con i suoi sette minuti abbondanti di durata. I primi centoventi secondi sono demoniaci, tra sussurri in delay e voce di vento ferale. Tra momenti metal e altri blues, il brano raggiunge notevoli vette di pathos, complici i soliti inserti di chitarra acustica e le armonie oscure messe in campo.

In definitiva siamo di fronte a una mezzora strumentale di musica ben arrangiata e suonata. Non si possono fare particolari appunti agli Skull Cowboys, i paesaggi sonori che tratteggiano sono pulsanti e facilmente riconoscibili; i synth e le chitarre acustiche donano originalità alla loro proposta musicale. Detto questo, stiamo parlando solo di un EP, aspettiamo di ascoltare su album anche le soundtrack degli spettacoli burtoniani e apocalittici.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

Ultimi album di Skull Cowboys