Recensione: I racconti del giullare cantore

Di Mauro Gelsomini - 22 Maggio 2005 - 0:00
I racconti del giullare cantore
Band: Fiaba
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2005
Nazione:
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94

Dall’immaginario epico-medieval-favolistico che è da sempre il marchio di fabbrica della band siracusana nasce questo nuovo lavoro che ne sancisce la consacrazione – almeno a livello di culto – compositiva, in precedenza già su vette altissime con Lo Sgabello del Rospo, capolavoro ingiustamente rimasto nell’underground e tuttora diffuso e apprezzato solo da veri appassionati del genere o addetti ai lavori.

L’impronta sonora dei Fiaba si è andata modificando negli anni, da quel lontano 1994, anno in cui esordivano con il rarissimo XII – L’appiccato, grazie ad una maturazione compositiva, oltre ad aver guadagnato la malizia commerciale e alla migliore qualità di registrazione che la PC Film, etichetta indipendente che segue la band, è stata in grado di assicurare.
“I racconti del giullare cantore” propone in maniera debordante, fin dal titolo, l’attitudine folk-narrativa a tinte fantasy dei Fiaba, fautrice di suggerimenti onirici, ma orgogliosamente aggrappata alla tradizione popolare e musicale italica, in particolare con particolare attenzione alla propria terra – la Sicilia – da sempre fucina di talenti in materia progressiva.
I riferimenti a certi “etnicismi” musicali quali saltarelli e ballate sono innegabili, e vengono drammatizzati e teatralizzati dal cantato istrionico di Giuseppe Brancato, che qui abbandona ogni “sbavatura” in termini di aggressività (l’avevamo addirittura sentito stridere e ruggire nelle produzioni precedenti), concentrando tutto il pathos sul lirismo della sua voce, a giustificare quell’ammiccamento “pop” cui sopra si accennava, intenzione evidente fin dalla opener “Angelica e il Folletto del Salice”, che scopre subito le carte, candidandosi a singolo strappaconsensi (non a caso è anche il videoclip allegato alle edizioni limitate che consiglio di accaparrarsi), in cui le armonizzazioni mai invadenti contribuiscono a creare un clima di epicità e drammaticità che forse era mancato in alcuni frangenti.
In un certo senso potremmo parlare di un “ritorno” al passato, dal momento che il secondo album, Il Cappello A Tre Punte, del 1996, aveva già fatto registrare una sterzata verso la melodicità drammatica e teatrale rispetto all’esordio. Dal punto di vista degli arrangiamenti, tuttavia, è con il nuovo album che i Fiaba possono esaltarsi ed esaltare, con l’unico “cruccio” (se di cruccio si tratta) di aver abbandonato quasi del tutto certi dinamismi e certe serrature tipicamente metal, anche se la straripante evocatività consente di affrontare episodi più oscuri come “Il Crocchiaossa”, dal mood quasi doom e i lirismi necrologici, forse l’apice rappresentativo del legame dei nostri alla tradizione leggendario-misteriosa, anch’essa tutta poplare, toccata anche con “Nipote di Strega” e “Arriva lo Spazzacamino”.

Il resto è tutto da scoprire, dall’arrogante “Le pere dell’Orco” alla dirompente “La Caccia”, passando per i due scherzi “Ho visto uno gnomo”, le amare “La fuga dell’elfo”, “I sogni nel sacchetto”, “La gemma nel pozzo”, la mini-suite “Il luccio della fontana”, tutti i brani rasentano la perfezione, e nascondono – cosa volete di più – allegorie d’attualità che vi invito a cercare nei testi (tutti rigorosamente scritti a mano con pennino nel bel booklet a corredo) del batterista, il mastermind Bruno Rubino, la cui creatività lirico-compositiva non sembra arrestarsi: è già in preparazione un singolo, “Il Lustrastelle”, ispirato a un racconto di Claude Clement, ma questa, è un’altra Fiaba…

Tracklist:

  1. Angelica e il folletto del salice
  2. Nipote di strega
  3. La fuga dell’elfo
  4. Ho visto uno gnomo pt.1
  5. La caccia
  6. Arriva lo spazzacamino
  7. Le pere dell’orco
  8. I sogni nel sacchetto
  9. Il crocchiaossa
  10. La gemma nel pozzo
  11. Il luccio della fontana
  12. Ho visto uno gnomo pt.2

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