Recensione: Iconoclast

Di Alberto Fittarelli - 24 Luglio 2003 - 0:00
Iconoclast
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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68

E’ strano sentire parlare di un gruppo cileno, perchè quelle zone non hanno mai prodotto delle band dal nome capace di raggiungere i lidi europei, se non qualche oscuro ed ultra-underground gruppo estremo. Ed ancora più strano è constatare che i Poema Arcanus suonano doom metal, uno stile che non vedremmo bene a fianco delle classiche immagini abbinate all’America Latina, e che vengono pubblicati da un’etichetta norvegese, la Aftermath Music.
E da tutto questo miscuglio di nazionalità emerge un album contraddittorio, ambiguo, che coglie nel segno solo a tratti grazie a momenti davvero ispirati, alternati però a parti davvero “pesanti” da mandare giù, sezioni che la band dovrebbe snellire molto per poter presentare un disco davvero efficace.

I Poema Arcanus sono infatti attentissimi ricercatori del suono giusto per creare una data atmosfera, con un sapiente uso delle tastiere e timbriche abbastanza originali per il genere, ma soprattutto un lavoro in fase d’arrangiamento davvero notevole, con appunto il tastierista Michel Leroy sugli scudi. Ciò che non convince del tutto, invece, è la voce di Claudio Carrasca: abbastanza banale sui growl, mi sembra un po’ troppo forzato quando tenta la via della voce pulita, risultando come un’opaca imitazione di Fernando Ribeiro dei Moonspell. Per il resto Iconoclast è un disco lungo, pesante in tutti i sensi, forse troppo prolisso per risultare davvero interessante; le idee a questi 5 ragazzi non mancano, così come la personalità, ma di nuovo sono gli alti e bassi a prevalere in un ascolto complessivo: da pezzi evocativi, come The crawling mirrors o la quarta Chaman, si passa a lunghi momenti di noia pura, dove la band ricalca le orme dei gruppi storici della scena.

Altre canzoni che colpiscono l’ascoltatore sono la title-track, trasposta bene anche in un suggestivo videoclip scaricabile dal sito del gruppo, o Rite, dove i Poema Arcanus alternano momenti di sospensione, di silenzio quasi totale, con solo lievi accenni di keys in sottofondo, a scosse elettriche sorrette dalla batteria rocciosa di Luis Moya; ed in generale tutta la seconda metà del disco ne risolleva decisamente le sorti, altrimenti insufficienti: la nona Distances, ad esempio, è forse la prova migliore del gruppo, più leggera ed ispirata del resto e finalmente ispirata da un cantato su ottimi livelli.

In generale non è facile amalgamare tutte le impressioni che derivano dall’ascolto di un album come Iconoclast: l’impegno si sente, la caratura dei musicisti anche, ma il disco è troppo frammentato, come qualità, per potergli assegnare un voto davvero rappresentativo: il 68 che vedete in fondo è quindi il risultato di una media tra le sensazioni suscitate dalle varie canzoni proposte, per un gruppo che decisamente ha ancora del lavoro da fare per liberarsi del tutto dall’inutile zavorra della prolissità. Nonostante ciò gli amanti del doom possono trovare nei Poema Arcanus dei forti punti d’interesse, ma consiglio sinceramente un ascolto preliminare; per il momento attendiamo i prossimi lavori della band con fiducia.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Walls?
2. The Crawling Mirrors
3. Elegía
4. Chaman
5. Elixir
6. Iconoclast
7. She Burns Us
8. Rite
9. Distances
10.Impressions
11.Desintegración
12.Burnt
13.And Thou Shall Obey

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