Recensione: Idle Hands

Di Daniele D'Adamo - 26 Gennaio 2013 - 0:00
Idle Hands
Band: Continents
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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81

«Lads with a party attitude who love getting groups of people into a room who share their passion for music».

Così, in maniera assai semplice, si definiscono i Continents, Nuovi Eroi del metalcore Made in England. L’hardcore, si sa, è una delle correnti musicali underground più amate dai ragazzi (e non più tali…) inglesi, e questo da anni. Se a ciò ci si aggiunge che anche per il metal c’è una grande passione che pulsa dai tempi della NWOBHM, allora diventa quasi matematico il fatto che il metalcore, quello più scabro e agro, faccia parte del DNA fondante le nuove generazioni rock di quelle terre. Più che scabro e agro, si dovrebbe dire tecnico ma con un gran cuore pulsante, sotto sotto.

Certo, il genere non è quasi mai accumunato al concetto di abilità strumentale, ma in questo caso occorre fare un’eccezione: Phil Cross e i suoi compagni fanno dell’alto tasso di competenza un’arma di fondamentale importanza, facendo prendere al proprio stile la direzione del famigerato ‘mathcore’; derivazione figlia di un’impostazione calibrata sulla tecnica – appunto – e sull’estrema varietà delle trame musicali, quasi da giungere all’assenza di riferimenti fissi. I Continents, tuttavia, non si fanno travolgere dalla loro stessa bravura complicando definitivamente la struttura dei brani. Anzi, permeano “Idle Hands” – debut-album di una carriera acerbissima – con quella forza emotiva, quella profondità sensoriale, quella stupefacente musicalità che, a parere di chi scrive, trovano mirabile compimento (quasi) solo negli artisti britannici (Devil Sold His Soul, Against The Flood, …). Come se i gelidi venti che alimentano i marosi dell’oceano Atlantico, invece di raffreddare gli umori, amplificassero le dimensioni dell’anima, alimentandola con le loro effusioni salmastre (“Loathe”).       

I cinque gallesi (del Sud) picchiano anche duro e, pure, sono costantemente aggressivi nell’approccio sonoro; malgrado ciò, quando affondano i colpi con le loro melodie, mai stucchevoli, arrivano nei più reconditi anfratti della memoria (“Truth And Lies”). Melodie peraltro utilizzate con parsimonia e giudizio, tant’è che, a un primo approccio, “Idle Hands” fa male alle orecchie talmente è asciutta e riottosa la sua superficie accidentata. L’ugola di Cross, difatti, dipinge linee vocali aride e taglienti, nella migliore tradizione del genere (“Regrets”). Addolcite, spesso e volentieri, dai formidabili cori che infiammano le song in occasione dei ritornelli (“Inhale”). La parte più complessa è forse deputata alla coppia di chitarristi, capaci di innalzare un tremendo muro di suono grazie alla profusione di riff granitici, aggrovigliati ma movimentati e, alla fine, mai in attrito con la differenziata sezione ritmica (“Lion’s Den”). I rallentamenti iper-ribassati dei breakdown (“Trials”) e le accelerazioni – mai esagerate – degli up-tempo si sovrappongono e si rincorrono, dando luogo a una varietà dell’andatura che non annoia mai arrivando, a volte, ai limiti dei blast-beats (“Idle Hands”).

Eppoi, “224” si rivela un intro perfetto, con le dolorose scudisciate delle chitarre a marchiare la pelle per segnare l’inizio della title-track, dissonante quasi all’inverosimile per alleggerirsi improvvisamente, ma nemmeno troppo, durante l’accattivante refrain. Occorre a questo punto citare “Pegasus, Pegasus”, canzone in cui la semplicità e ariosità del chorus cozza contro la solidità di un sound poderoso e complesso. E, anche, “Land Of The Free”, sicuramente la migliore del lotto per via dell’andatura assolutamente travolgente e l’eccezionale melodiosità del memorabile ritornello. Un istante, questo, che da solo vale quasi l’intero lavoro. Rimarchevole, infine, lo scalpitante hardcore di “Exhale”, pezzo-massacro per i live più infuocati.

“Idle Hands” è un osso molto duro, da rodere. Con un po’ di pazienza, arrivati al midollo, se ne possono apprezzare tutte le succulenti peculiarità. Peculiarità che, magari, non sono nel bagaglio culturale dei metalhead più ortodossi ma che, inequivocabilmente, dipingono i Continents come uno degli act di punta del movimento metalcore odierno.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. 224 1:01
2. Idle Hands 4:17
3. Pegasus, Pegasus 3:39
4. Inhale 3:36
5. Land Of The Free 3:39
6. Sheeps In Wolves’ Clothing 1:36
7. Regrets 3:33
8. Loathe 2:14
9. Trials 4:13
10. Exhale 2:22
11. Truth And Lies 4:08
12. Lion’s Den 3:44

Durata 38 min.

Formazione:
Phil Cross – Voce
Darryl Sweet – Chitarra
Tom Weaver – Chitarra
Dom Turner – Basso
Duncan Hamill – Batteria
 

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