Recensione: Illusion’s Play

Di Giorgio Vicentini - 8 Gennaio 2005 - 0:00
Illusion’s Play

Se Shades of… mi aveva stregato ed ipnotizzato, se Angel of Distress sapeva rapirmi e trascinarmi nell’abisso, per Illusions’ Play non riesco a trovare un giusto collocamento, il fine o carattere dominante che mi sarei atteso. Non sono deluso, all’inizio lo sono stato tanta era l’aspettativa (troppa), ma ridimensionato sì.
I primi due furono mondi sconosciuti ed affascinanti nei quali perdersi, questo non sembra essere capace di tanto, come se la ricetta fosse stata diluita da un trend goticheggiante che ammorbidisce l’anima/essenza funeral senza permetterle di esprimersi incontrastata; quello che poi ognuno si aspetterebbe da un disco degli Shape of Despair.

Vedo questo terzo sigillo come la paventabile crescita di un gruppo che, da semplice progetto parallelo dell’ex Amorphis Pasi Koskinen, è diventato nel giro di pochi anni uno dei più importanti act mondiali nel campo doom; uno status acquisito meritatamente con i precedenti lavori ma che potrebbe aver intaccato l’immediatezza e lo strapotere emozionante della band.

Pur premettendo tutto ciò, non voglio assolutamente parlare di passo falso, come non sono qui a sostenere la tesi di un’inversione stilistica che li stravolga. Il gruppo ha classe e lo dimostra ancora una volta con le ottime atmosfere che bagnano gli spezzoni rallentati, cadenzati come imporrebbe il genere, ma con meno durezza ed enfasi; un mood rilassante ed avvolgente, capace di creare una propria dimensione. Ad impreziosire l’opera interviene il growl semplicemente maestoso e profondo (as usual) di Koskinen, che non si limita alla solita interpretazione ma si lascia anche al cantato pulito, rallentato al limite del parlato, di “Still-motion”, in coppia alla partner musicale Natalie Koskinen. Quest’ultima, pur avendo una parte chiaramente di accompagnamento, dimostra caratteristiche estremamente funzionali al compito di spalla armoniosa ed etera in contrapposizione alla ferocia maschile, con un pregevole tratto da solista nella title track. Come di consueto, semplicemente riappacificanti le melodie che riempiono l’aere e sulle quali irrompono le ritmiche granitiche di una chitarra e le note melodiose dell’altra.

Chi conosce già il gruppo potrà convenire che questa leggera evoluzione (o involuzione?) piacerà anche ad un pubblico differente, in quanto meno funerea/ermetica e più affine a gusti non del tutto avvezzi all’asfissia emotiva o alle ritmiche strettamente pachidermiche. Un disco che potrebbe allargare intelligentemente il campo d’azione della band senza rinnegare lo stile acquisito ed espresso al meglio in “Entwined in Misery”, il capolavoro del caso e più vicina a ciò che hanno già dimostrato.

Dovendo esprimere la sensazione che ha accompagnato i mie ascolti, ho sentito spesso la mancanza di quel componente che facesse la differenza tra percezioni quali trasporto e rapimento nella loro forma comune e l’inspiegabile forza trascinante di un tempo, che le rendeva uniche e rigonfie di energia propria. Anche questo disco ha in dote melodie di buona presa, come era ovvio che fosse visti gli attori, tristi e raffinate ma deliberatamente compresse, ristrette rispetto al passato e che non si lasciano mai alla ripetitività molto marcata d’un tempo. Anche i lunghi istanti di sospensione e di pausa, come nel caso del prolungato spezzone finale di “Still-motion”, mi sono sembrati meno organici, pur avendo un’espressività rinforzata dalla leggerezza dei suoni.

Mi infastidisce da matti dover dire che questo è un disco valido ed un prodotto meritevole, le band normali fanno prodotti meritevoli, gli Shape of Despair non dovrebbero. Promozione più che abbondante perché in fondo anche Illusion’s Play sta diventando lentamente una droga irrinunciabile, anche se i pezzi da novanta fanno parte del passato.

Tracklist
01. Sleep Mirrored
02. Still-motion
03. Entwined in Misery
04. Curse Life
05. Fragile Emptiness
06. Illusion’s Play