Recensione: Impetus of Death

Di Daniele D'Adamo - 25 Novembre 2018 - 17:12
Impetus of Death
Band: Corpsessed
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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78

Solve et coagula, distruggere per creare.

La morte come elemento essenziale della vita. È questo il concetto fondamentale che regge le tematiche di “Impetus of Death”, secondo album in carriera dei finlandesi Corpsessed.

I quali, tenendo fede al titolo del full-length, s’immergono con immensa potenza nelle profondità della Terra. Nelle viscere di Gea, a sperimentare il passaggio vita-morte-vita, strappandole le budella per poi ricongiungerle disordinatamente.

Il sound del quintetto di Järvenpää fa letteralmente paura per le dimensioni abnormi del muro di suono che riesce a erigere, in virtù di un attacco strumentale dalle proporzioni sterminate. Guidati dal roco, stentoreo growling del folle cantore Niko Matilainen, i Corpsessed sparano a tutta forza, più che si può, un death metal apparentemente arcaico, rozzo, indefinito. Stimabile in volumi di decibel pari, come entità numerica, a quelli di sterminate ondate di fanghiglia ricche di cadaveri in putrefazione che, come un orrido tsunami, travolgono tutto e tutti.

Non si tratta di old school e di nessun’altra sotto-classificazione del death metal. Si tratta di death metal e basta, appunto. Riprodotto in uno stile forse non molto originale ma perfetto per coniugare certo nichilismo che emerge dai testi delle song a un impatto sonoro spaventoso. Le chitarre macinano tonnellate di riff putrescenti, accordati in toni grevi per rendere meglio l’idea di uno straziante viaggio nell’oltretomba. Il basso, esattamente come il cupo rimbombo di una tempesta in lontananza, cementa gli accordi delle due asce da guerra sì da determinare un sound impenetrabile, devastante, dirompente. Demolitore, come un bulldozer, delle difese psico-acustiche dell’ascoltatore per indurlo nello stato di trance da hyper-speed giacché, come del resto ci si poteva attendere, il drumming apocalittico di Jussi-Pekka Manner sfonda spesso e volentieri le barriere dei blast-beats.

Ci sono anche dei rallentamenti, nel titanico sound dei Corpsessed. Come in ‘Endless Plains of Dust’, per esempio. Decelerazioni brutali che spazzano le ultime difese della mente per entrare, storditi, nei gorghi di accordi, note, linee vocali, che altro non sono che i brani; titanici monumenti che si ergono come pinnacoli dalla marea limacciosa più sopra citata.

Resistere a sfasci assoluti come il devasto di ‘Graveborne’, canzone abominevole per contenuti energetici nonché per forza visionaria, è praticamente utopistico. Quasi che, chiudendo gli occhi e focalizzando l’attenzione del pezzo, ci si trovasse a naufragare lentamente in sabbie mobile marce, dal sentore agghiacciante.

Per tutto ciò, per la configurazione di un sound dimensionalmente smisurato, cioè, i Corpsessed hanno ben pochi rivali, al Mondo. Anche in occasione di tracce dai BPM meno elevati rispetto alle altre, quali per esempio ‘Forlorn Burial’, addirittura assimilabile – in certi frangenti – al doom (‘Starless Event Horizon’), le sollecitazioni sonore non diminuiscono affatto d’intensità come accade nella già citata ‘Endless Plains of Dust’.

Tuttavia, la summa del valore di un ensemble che non conosce alcuna tregua, alcuna pietà, alcuna sbandata da una incrollabile fedeltà alla linea, si ottiene quando lo sfascio è completo, definitivo, assoluto. ‘Begetter of Doom’, e la coscienza scivola via trascinata dalla velocità di un torrente di mota in piena, alimentato dagli incubi mortiferi di un complesso capace di elaborare uno dei death metal più saturi di dirompenza sconquassante che abbiano mai calcato il suolo terrestre.

Nessuna pietà, nessun prigioniero: totale annichilazione!

Daniele “dani66” D’Adamo

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