Recensione: Imploder

Di Daniele D'Adamo - 31 Marzo 2019 - 9:51
Imploder
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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75

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Formatesi nel 2015, i Rage Of Light, dopo qualche singolo e un EP, giungono finalmente al momento del debut-album: “Imploder”.

Un album in cui vengono miscelati death metal ed electronic music, con una dose massiccia della seconda sì da dar luogo a qualcosa che, fra i tanti generi e sottogeneri metal, assomiglia parecchio al cyber death metal. Assomiglia parecchio ma non ne fa completamente parte, poiché non sono trainanti alcuni aspetti decisivi come, per esempio, l’attitudine cyber punk, indispensabile motore per band quali Blood Stain Child, Sybreed, Mechina e compagnia cantante. Anche se, a dire il vero, il cyber death metal può anche considerarsi, alla luce, anche, di cospicue contaminazioni elettroniche in quasi tutti i campi del metallo, in un’accezione più ampia termine, come una sorta di electronic death metal. Elucubrazioni che possono avere il tempo che trovano ma che, in questo specifico caso, possono aiutare a focalizzare in maniera corretta lo stile della formazione svizzera.

Una premessa che parrebbe allineare la formazione stessa a strutture dalla forma trita e ritrita. Invece, ci si trova davanti a un qualcosa di discretamente originale poiché, già dall’intro strumentale ‘Light’, si manifesta una poderosa forza visionaria che fornisce i giusti colori alla musica del Nostri. Potenza guidata dalla piacevole armoniosità della voce di Melissa Bonny, vocalist dotata di grandi mezzi canori per le clean vocals, nonché di cattiva aggressività per il growling – aiutata in ciò dal tastierista e … tanto altro Jonathan Pellet. Per un antitesi certamente non prima in assoluto ma comunque sempre gradevole da ascoltare.

Come accade sempre con maggior frequenza, la responsabilità delle linee vocali cadono sulle spalle di una donna. Ormai non si contano più le formazioni female-fornted, che affrontano la platea con, in prima linea, un cantante femminile. A parere dello scriba non si tratta di una moda bensì di una naturale evoluzione dei costumi che ha portato le donne stesse a emanciparsi anche in questo settore, com’è giusto che sia. Tra l’altro, movimentando una scena altrimenti priva di scatti evoluzionistici. Lasciando perdere ogni considerazione pregressa sul ruolo di front… woman, non si può che apprezzare la bravura di una cantante come Bonny, dotata di talento cristallino e piglio assolutamente professionale.

‘Fallen’ smentisce per un attimo quanto più sopra evidenziato a proposito di cyber death metal procedendo, nell’incipit, con un poderoso incedere meccanico, scandito dalle bordate dei riff prodotti dal chitarrista Noé Schüpbach. Fa capolino anche la trance, come in ‘Away with You’, la quale, comunque, funge soprattutto da riempitivo e da arrangiamento, più che da leitmotiv portante, per una song sempre e comunque votata ai dettami di base del death metal. Così è, più o meno, per tutte le song che compongo il disco (‘In the Shadow’). Sempre e comunque tutte dotate di una fervente vena melodica, alimentata dalla gran voce di Bonny. Tutte allineate allo stile della formazione elvetica, tutte obbedienti alle stesse idee e trovate. Compresa l’ottima cavalcata strumentale della title-track. Manca forse il colpo da KO, tuttavia il viaggio che si percorre da ‘Light’ a ‘Twilight of the Thunder God’ è piacevole da affrontare e avviene con scorrevolezza, senza indecisioni di sorta, senza buchi, senza passaggi a vuoto, senza cali di tensione.

Con che si può affermare che i Rage Of Light abbiano trovato il bandolo della matassa per uno stile tutto loro, abbastanza facile da inquadrare in un mercato discografico immenso, in materia di metal oltranzista. Del resto, essi, oltre a divagare con costrutto con le loro propaggini elettroniche, restano pur sempre un ensemble che picchia duro (‘Battlefront’), sfondando spesso e volentieri, con sfavillante energia, la barriera dei blast-beats.

Un buon esordio, quindi, per Rage Of Light, con la loro Opera Prima “Imploder”.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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