Recensione: In Hoc Signo Vinces

Di Daniele Balestrieri - 29 Aprile 2008 - 0:00
In Hoc Signo Vinces
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Anno: 2007
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70

Con questo “In Hoc Signo Vinces” siamo al cospetto di un album decisamente differente per natura e realizzazione dal black canonico, tanto che la dicitura ‘black’ fallisce nell’abbracciare un lavoro così di nicchia e allo stesso tempo così tentacolare.

L’Ordre du Temple è una one-man band come tante ormai popolano questo genere; un anno dopo uno split ai tempi discretamente popolare realizzato insieme ai lombardi Teuta e Ringwraith, il nostro Davide realizza un’opera di grande spessore esoterico incentrata sui misteri dei Templari, da un millennio fonte inesauribile di speculazioni intellettuali e religiose. Di per sé questa uscita ha le caratteristiche di un demo, se non fosse che inaugura sul mercato una nuova etichetta, la Funeral Records, di stanza a Venezia. E che inaugurazione! Un packaging di fine fattura, in formato A5, costellato di simbologie arcane e corredato da un libretto che si degna di mostrare i testi e poco altro: nemmeno un riconoscimento e nemmeno un nome, caratteristica che si confà al volto in penombra di questo musicista che di cose ne ha da dire, tra citazioni divinatorie di Giordano Bruno e alchemiche di John Dee.

Un tema tanto complesso merita un accompagnamento musicale altrettanto complesso; il parziale rifiuto abbandonarsi a un genere brutale a tutto tondo risulta in questo caso una scelta vincente, che ha incoraggiato la nascita di una finissima architettura folkloristico-medievaloide ben lontana dalle brutalità inani delle chitarre-zanzara tipiche del black.
In Hoc Signo Vinces è un lavoro di fino, ben cesellato e curato nei minimi particolari: atmosfere leggere e aggraziate si adagiano, traccia dopo traccia, su tappeti di tastiere e di strumentazioni medievali dal sound tuttavia talmente sintetico da impedire un completo abbandono all’inerzia dei sensi.
“In Hoc Signo Vinces” sembra infatti non decollare mai, sempre che si debba cercare un ‘decollo’ a tutti i costi, e continua imperterrito il suo incedere tra corti e sagrati di monasteri, atmosfere che riportano alla mente un certo capolavoro di Umberto Eco o gli scritti tonanti sugli ordini militari-religiosi di Dumézil.
Anche se sulla carta il disco è particolarmente accattivante, in realtà nella sostanza si tratta di un lavoro un po’ ostico. Le melodie sono sottili ed evanescenti, il cantato un po’ incerto – ricorda lontanamente i Summoning, e come non aspettarselo – e il contributo elettrico davvero minimo se paragonato alle lunghe parentesi folk e ambient.

Un disco decisamente ben prodotto, ben registrato e molto ben ragionato che vanta un tipo di musica per pochi, anzi, per pochissimi e per questo esposto alle critiche di chi vorrebbe un sound più grasso e tangibile.
Un’opera di gusto squisitamente medievale, dunque, di un artista che non deve perdersi per strada: gli Ordre du Temple hanno scelto un cammino irto di spine e molto in salita, lontano dal mainstream, che può portare a un vicolo cieco o a una consacrazione improvvisa sulla falsariga delle band più ispirate a livello musicale come i Summoning o a livello intellettuale come, perché no, gli Ensoph loro corregionali.

TRACKLIST:

1. Sancta Sanctorum  
2. Nine Shadows Behind The Temple  
3. Waiting for a God’s Sign  
4. Et In Arcadia Ego  
5. The Knight’s Dream  
6. What Magic Is, What are the Parts thereof, and how the Professors thereof must be Qualified  
7. In Lode De L’Asino  
8. Libellus Veneris Nigro Sacer

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