Recensione: In Sorte Diaboli

Di Alessandro Calvi - 13 Novembre 2008 - 0:00
In Sorte Diaboli
Band: Dimmu Borgir
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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70

A quattro anni dal precedente “Death Cult Armageddon” (se si esclude l’operazione, diciamolo pure, commerciale, di ri-registrazione di “Stormblast”) i Dimmu Borgir tornano a farsi sentire con il loro nuovo album di studio. Fin dal titolo “In Sorte Diaboli” e dal packaging cornuto dovremmo capire di cosa tratterà questo loro nuovo disco.

Bisogna dire che, forse, nel corso degli ultimi anni i Dimmu Borgir ci avevano abituato fin troppo bene. Che piacessero o meno, Shagrath e soci avevano preso l’abitudine di sperimentare qualcosa di nuovo in ogni loro cd. I risultati son stati a volte altalenanti nella risposta del pubblico, soprattutto nel campo degli apporti elettronici, ma sempre realizzati con grande qualità e diretti a innovare il sound della band. Tutto questo ci aveva portato tra le mani un disco ottimo, al limite del capolavoro, come il precedente “Death Cult Armageddon”.
Ci si chiedeva quindi cosa i Dimmu Borgir avrebbero tirato fuori dal cilindro per stupire nuovamente gli ascoltatori con questo “In Sorte Diaboli”. La risposta è, purtroppo, nulla.
Abituati così bene negli anni passati, forse ci aspettavamo troppo e per questo siamo rimasti delusi da un disco che è si, qualitativamente eccellente, ma che ripropone, in definitiva, lo stesso sound e le stesse soluzioni del precedente “Death Cult Armageddon”.
Ad aprire l’album troviamo una magniloquente intro sinfonica, i Dimmu Borgir son ormai divenuti maestri in questo e non si può certo dire che simili brani non facciano scorrere brividi lungo la schiena. La sinfonia sfocia nella voce di Shagrath e nell’aggressione sonora delle chitarre di Galder e della batteria del neo-entrato Hellhammer. Ormai il gruppo norvegese assomiglia sempre più a una sorta di Harlem Globetrotters del black-metal con tutti i musicisti e le all-star che vi risiedono in pianta stabile e/o si sono succedute dietro agli strumenti.
Tornando a parlare della canzone, cioè “The Serpentine Offering”, l’alchimia è già nota, ma sempre emozionante. Le partiture orchestrali che si intrecciano con gli strumenti classici, la voce di Shagrath e quella di Vortex che si alternano, tutto questo è black metal sinfonico di altissima qualità e non è possibile affermare il contrario.
La successiva “The Chosen Legacy” ripresenta buona parte delle soluzione della prima traccia. Si parte subito a testa bassa pigiando sull’acceleratore, ma non mancano gli intermezzi più lenti e melodici in cui emergono le tastiere di Mustis. Si fa notare il ritornello che ripete incessantemente il titolo del disco essendo uno dei momenti più gelidi e toccanti dell’album.
“The Conspiracy Unfolds” e “The Sacrilegious Scorn” non aggiungono niente di nuovo a quanto detto finora, se non per il fatto che sembra di fare un leggero passo indietro. Qui e là infatti si respira un’aria non molto dissimile da quella di “Enthrone Darkness Triumphant” per alcuni riff della prima, di “Spiritual Black Dimensions” per le linee vocali pulite dell’inizio della seconda, o ancora di “Puritanical Euphoric Misanthropia” per l’uso di qualche passaggio filtrato in entrambe.
La quinta “The Fallen Arise” si esaurisce in un intermezzo a base di partiture sinfoniche che sarebbero perfette per una colonna sonora horror e qualche suono di cavalli campionato. Tutto questo apre la strada a “The Sinister Awakening”, forse il pezzo più genuinamente black di tutta la tracklist. Lasciando, per una volta, le tastiere e le orchestrazioni in secondo piano, Shagrath e soci ci sferrano un vero e proprio pugno in faccia di violenza e malvagità.
Lugubre inizio per “The Fundamental Alienation” che poi si trasforma in un brano violento e aggressivo, molto veloce, che riesce a mantenere una nota di inquietudine soprattutto grazie ai cori maschili di sottofondo che ricordano un po’ certe musiche gregoriane.
“The Invaluable Darkness” presenta un songwriting che sembra preferire l’accoppiata Galder-Hellhammer puntando moltissimo sui rispettivi strumenti, spesso in compagnia della voce pulita. Su questo brano, infatti, Vortex si ritaglia uno degli interventi più lunghi di tutto il disco. Si tratta anche di una delle tracce che cercano di mostrare maggiormente le capacità tecniche di quello che è considerato uno dei migliori batteristi in circolazione grazie a ritmiche varie e continui cambi di tempo.
A chiudere, degnamente, l’album “The Foreshadowing Furnace” in cui fan la propria ricomparsa alcune delle idee già sentite lungo il disco, dalla voce filtrata ad alcune soluzioni compositive. Forse un po’ derivativa, ma indubbiamente ennesima canzone che coinvolge e che si lascia ascoltare senza annoiare e regalando qualche oscura emozione. Finale in dissolvenza a base di un soffio di vento campionato che suona come una vecchia registrazione rovinata.

Per concludere i Dimmu Borgir realizzano un disco nettamente sopra la media. Violento, sinfonico, emozionante, scritto e suonato da professionisti assoluti della scena. Da musicisti simili non ci si sarebbe potuti aspettare nulla di meno. Manca però quella punta di originalità, di innovazione, che aveva portato curiosità e interesse attorno ai precedenti album del gruppo. Questo “In Sorte Diaboli” non aggiunge assolutamente nulla a quanto già sapevamo di Shagrath e Co., risultando, quindi, una sorta di parziale delusione.

Tracklist:
01 The Serpentine Offering
02 The Chosen Legacy
03 The Conspiracy Unfolds
04 The Sacrilegious Scorn
05 The Fallen Arise
06 The Sinister Awakening
07 The Fundamental Alienation
08 The Invaluable Darkness
09 The Foreshadowing Furnace

Alex “Engash-Krul” Calvi

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