Recensione: In the… All Together

Di Alessandro Zaccarini - 17 Novembre 2009 - 0:00
In the… All Together
Band: Skyclad
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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72

A un passo dal ventesimo compleanno – la nascita è datata 1990 in quel di Newcastle upon Tyne, nel nord-est dell’Inghilterra – gli Skyclad danno alla luce il loro dodicesimo lavoro da studio. Arriva a ben cinque anni di distanza da A Semblance of Normality e si presenta come un punto fondamentale di una band che nel corso della sua storia ha cambiato pezzi importanti e che deve ora riconfermarsi ancora una volta ai vertici di una scena (quella folk) che è mutata tanto da quando gli Skyclad (e la scena stessa) muovevano i primi passi.

In seguito alla dipartita di Martin Walkyier, avvenuta nel 2001 dopo aver dato alla luce “Folkémon“, quello che ancora oggi resta forse il disco più amato della band, gli Skyclad hanno intrapreso un corso sensibilmente diverso. Nel giro di un paio di anni o poco più Kevin Ridley è prima passato dal ruolo di produtore a musicista, poi con la uscita di Walkyier ha preso posto addirittura dietro al microfono: un cambiamento che avrebbe potuto minare le fondamenta degli Skyclad ma per fortuna non è successo. Ha fatto storcere il naso ad alcuni dei fan storici, ma il cataclisma annunciato non ha investito la band britannica.

Quello che ha salvato Ridley, in un certo senso, è il fatto che il nuovo frontman non abbia cercato di emulare il predecessore, giostrandosi con mestiere e abilità, e incastonandosi quasi perfettamente tra le melodie di una band che musicalmente è rimasta fedele a quanto fatto con il primo padre. Continuano i testi socialmente impegnati: lo sono persino quando i nostri si lasciano trascinare dal lato più festaiolo come con Still Small Beer, folkata bevereccia da taverna delle più canoniche, con un violino intrepido degno dei Korpiklaani, coretto thrash stile Tankard e una denuncia sociale più che attuale che ne occupa le rime. Per tutta la durata di In The… All Together la tradizione folk si mischia con quella del metal più classico, figlio di eredità thrash e speed tanto che in un paio di episodi, ad esempio Black Summer Rain, i punti di contatto con i Rage di Peavy Wagner sono quasi sorprendenti. Le accelerazioni ritmiche in chiusura di riff sono forse il momento più eclatante di questa somiglianza che si ripresenta ciclicamente per tutto il disco.

Si dice spesso che sia nelle sezioni più lente che la capacità dei musicisti di comporre con gusto e ispirazione esca allo scoperto. Se questo è davvero l’elemento scriminante non possiamo che battere le mani a una The Well-Travelled Man che si apre con una splendida melodia di violino per sfociare in una seconda parte di brano che pesca da diverse tradizioni musicali: dal riffing monocorda che costituisce la parte ritmica, alle melodie che costituiscono la voce principale. Sguardo rivolto a est per Babakoto mentre interessante anche i terreni battuti da Which is Why, una delle più celtiche del lotto, con il violino ad accarezzare e agguantare parte della tradizione armonica antica e sdraiarsi su una semplice impalcatura ritmica.

Brano dopo brano si tratta di una conferma, o ancora meglio di una riconferma. Gli Skyclad sono in buona salute e questo disco giunge ad allungare una serie positiva di episodi già notevole a cui questi inglesi ci hanno abituato da anni. Che il folk-metal sia sulla cresta dell’onda o no, loro ci sono, pronti ancora una volta a dare il loro apporto di qualità a cui non rinunceremmo troppo volentieri.

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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Tracklist:
01. Words Upon The Street
02. Still Small Beer
03. The Well-Travelled Man
04. Black Summer Rain
05. Babakoto
06. Hit List
07. Superculture
08. Which Is Why
09. Modern Minds
10. In The… All Together

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