Recensione: In the Sign of the Raven

Di Daniele Balestrieri - 23 Febbraio 2004 - 0:00
In the Sign of the Raven
Band: Mithotyn
Etichetta:
Genere:
Anno: 1997
Nazione:
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88

Innanzitutto, è doveroso un inchino: siete giunti al cospetto della band intoccabile per eccellenza del Viking Metal. Nata nella gloria, morta nella gloria, nata per istinto, con un impeto furioso, una scintilla di vita, progredita per tre album che hanno provocato grandi cicatrici nel genere, e morta brindando, stanca e soddisfatta, negli ultimi respiri del vecchio millennio. Prima di morire però i guerrieri svedesi hanno consegnato alla storia un perfetto “Gathered Around the Oaken Table“, un ispirato “King of the Distant Forest” e un greve, genuino e commovente “In the Sign of the Raven“. È facile parlare così gloriosamente di questa band, perché è una delle poche band morte nel pieno della loro carriera, senza la possibilità di scadere, prima di morire, come è accaduto agli Einherjer, e senza la possibilità di evolversi verso lidi più sperimentali, come accaduto ai Thyrfing. No, tre colpi di tamburo, e poi i membri della band si sono dissolti, alcuni per non tornare più, e altri per tornare a calcare la scena con i Falconer, pianta malata e incerta nata dalle ceneri di questi Mithotyn, il cui unico merito è stato quello di non infangarne il l’antico nome, ma di infangarne uno tutto nuovo con le loro deformità musicali.

La cosa interessante di questo “In the Sign of the Ravens” è la genesi, una lunga concezione che è passata attraverso molte tappe fatte di demo, alcuni di una certa lunghezza, il cui ultimo, “Nidhogg“, è sicuramente una delle gemme più fulgide e senza dubbio ha segnato il momento in cui la band era abbastanza matura per registrare il primo full-length.

Ed eccoci di fronte a undici canzoni che hanno segnato la direzione e iniziato la effimera leggenda dei Mithotyn. Quest’album è il classico blend familiare ai fans del Viking Metal: si parte dalla solita base black metal, si aggiunge una voce portante in scream (malignissimo), si aggiungono cori maschili puliti in abbondanza e si mischia il tutto con una preponderante dose di folk scandinavo. In questo caso è proprio il caso di dire preponderante, e il risultato è senza dubbio un distacco dalle produzioni alle quali si può accostare, ovvero i primi Thyrfing, i primi Einherjer, i primi Enslaved, i primi Falkenbach e via dicendo. In questo disco risaltano moltissimi aspetti, molti più che nei primi lavori delle band sopracitate, e questo è un chiaro sintomo di maturità. La parte folk è strutturata in maniera a dir poco lodevole, ogni singolo riff è trascinante, ed evidentemente la pulsione è stata così forte che abbiamo ben tre canzoni praticamente solo folk. La prima è “Lost in The Mist“, lugubre traccia drammaticamente condotta da un flauto profondo, al quale si aggiungono via via di supporto batteria, chitarre, bassi e un’ottima chitarra acustica alla quale si sovrappone, di tanto in tanto, qualche colpo di clavicembalo, strumento utilizzato con una certa frequenza. La seconda è “Tills dagen gryr“, una marcia folk di un cantante singolo che recita con voce profonda, cadenzata, una ballata antichissima sotto un paio di flauti eterei, una cosa che ricorda molto gli ispirati exploit folk degli Storm e di Vintersorg. La terza è la conclusiva “Let thy Ale Swing“, un vero portento medievalissimo da taverna, formato da tamburelli, trombette, vecchi strumenti scalcinati, che vi trascineranno in una bettola di un villaggio tedesco dell’alto medioevo, ad assaggiare una buona birra alla luce di un camino. Tutto il resto prende spunto da buon black metal, a volte aggressivo come in “Upon Raging Waves“, a volte decisamente di gran classe, pura scuola heavy metal, come nella bellissima “Stories Carved in Stone“, una canzone che da sola vale un album in quanto a varietà e in quanto a pregio dei lunghissimi assoli che cambiano riff, tempi e significati come fossero palle in mano a un giocoliere; gioco-forza che si ripete nell’altrettanto lodevole “In the Forest of Moonlight“, canzone che al primo ascolto mi strappò un sorriso, tramutato in breve tempo in un’espressione sconcertata di fronte a una struttura musicale e lirica tanto complessa quanto orecchiabile. Stessa espressione che probabilmente ebbi ascoltanto l’estrosa, originalissima “Shadows of the Past“, dove entrano di gran forza clavicembali e tastiere (insieme all’onnipresente orchestra hit che tanto faceva viking in quegli anni), guidati da cori epicissimi (ritrovati poi nella stessa “Freezing Storms of Snow“) e assoli che sembrano strappare forza direttamente dalla storia del passato, argomento al quale la band è sempre stata legata. Quando sembra che il gruppo non possa più spaziare da nessuna parte, un organo solenne spezza in due l’aria, e grandi assoli e cori orchestrano l’ottima “Where My Spirit Forever Shall Be“.

Cosa dire, se non che il cavallo di battaglia di questo album sono le melodie trascinanti, epiche e profonde, e la grande varietà che permea ogni singola traccia. Non c’è che dire, le tracce sono talmente differenti tra di loro, che è semplicissimo riconoscerle una volta fatto l’orecchio all’album. E questo allontana la noia come uno spettro invisibile in questo lavoro, spettro invece incombente sul primo Thyrfing e sul primo Einherjer. Purtroppo un problema c’è, in realtà il cantato è un po’ scadente, caratteristica preoccupante se associata alla registrazione un po’ ovattata (altro grande classico del genere). Insomma spero sia voluto questo effetto “sfiatato”, perché se davvero è questo tutto ciò che sa fare il cantante, beh è un po’ pochino. La voce è proprio al limite, un’apertura armonica trascurabile, poca passione, eppure ricorda vagamente stelle come Emperor o Immortal, dai quali sicuramente non è stato in grado di assimilarne l’esaltante descrittività e interpretazione.

Credo che la band stessa fosse conscia di questo limite, infatti le canzoni sono sovraccariche di parti strumentali e assoli, rispetto alla normalità, e i cori spesso e volentieri prendono il posto della voce. A me sinceramente non dispiace, la trovo calda e in un certo qual modo amichevole. Se non vi piacerà, cercate di non darle troppa importanza – in questo album si può – e godetevi le melodie senza tempo, la grande carica folk, i testi ricercati di questo Viking ormai scomparso dalla scena.

Tracklist:

1 – Upon Raging Waves
2 – In the Sign of the Raven
3 – Shadows of the Past
4 – Lost in the Mist
5 – Embraced by Frost
6 – In the Forest of Moonlight
7 – Tills Dagen Gryr
8 – Stories Carved in Stone
9 – Freezing Storms of Snow
10 – Where My Spirit Forever Shall Be
11 – Let Thy Ale Swing

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