Recensione: Infernal Overdrive

Di Marco Donè - 23 Gennaio 2018 - 0:01
Infernal Overdrive
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Strana la storia dei losangelini White Wizzard. Il primo full length, “Over the Top”, viene pubblicato nel 2010 tramite Erache Records, un lavoro irriverente, divenuto uno dei manifesti di quel revival ottantiano, di matrice classica, che ha imperato oltreoceano a cavallo degli anni Dieci. Appassionati e critica hanno immediatamente iniziato a seguire con estrema attenzione le vicende della band capitanata dal turbolento Jon Leon che, tra una rivoluzione di line-up e l’altra, ha pubblicato altri due album nel 2011 e nel 2013. Due dischi che, sebbene potessero vantare alcuni picchi compositivi elevati, non hanno saputo bissare il successo e la qualità dell’adrenalinico “Over the Top”. Due lavori che hanno leggermente abbassato le quotazioni della band americana, seguiti da un lungo silenzio e qualche comparsata live. Finalmente, però, dopo cinque anni di attesa, il tanto agognato annuncio: i White Wizzard sono pronti a pubblicare una nuova prova sulla lunga distanza. Il risultato è “Infernal Overdrive”, disco che ci troviamo a curare in queste righe.

 

Per l’occasione Jon Leon non smentisce la sua fama e ci riconsegna i White Wizzard con una formazione nuovamente rivoluzionata. Questa volta, però, sembra aver prestato particolare attenzione ai desideri dei fan. Ritornano infatti a far parte della saga White Wizzard il chitarrista James J. LaRue e, soprattutto, il figliol prodigo Wyatt Screaming Demon Anderson al microfono, cantante che non ha certamente bisogno di presentazioni e che risulta essere la voce perfetta per il White Wizzard sound.

 

Dopo le dovute presentazioni, non ci resta che iniziare a parlare di ciò che a noi interessa di più: la musica. “Infernal Overdrive” si apre con la terremotante title track, canzone dalla marcata matrice Judas Priest, periodo “Painkiller”, che evidenzia fin da subito come i White Wizzard siano tornati agguerriti e più in forma che mai. Si continua alla grande con la successiva ‘Storm the Shores’, traccia in cui lo spettro degli Iron Maiden, tanto caro a Jon Leon, ci riconsegna i White Wizzard che conosciamo meglio. Sensazione che viene avvalorata dalla successiva ‘Pretty May’, che va a comporre un trittico iniziale carico di adrenalina, in cui la band di Los Angeles, oltre che trasmettere la sua fede, il suo credo nell’heavy metal anni Ottanta, mette in mostra delle qualità tecniche degne di nota, tanto che l’attuale formazione può essere ritenuta la più completa, dal punto di vista tecnico, tra quelle fin qui sfoggiate dai White Wizzard. Caratteristica che verrà addirittura amplificata nel proseguo del disco, tanto che in più di qualche frangente il quartetto americano “sforerà” nei territori del prog, spesso di scuola settantiana, fino a raggiungere i confini del techno thrash con ‘Critical Mass’. Da qui si può facilmente dedurre come “Infernal Overdrive” risulti un disco meno immediato rispetto ai predecessori e che necessiti di qualche ascolto in più per poter essere compreso. Come se i White Wizzard avessero provato a mettere da parte la sfrontatezza e l’arroganza che avevano caratterizzato il debutto “Over the Top”, provando a evolvere verso una dimensione nuova, pur mantenendo i trademark che li avevano fin qui caratterizzati. Ci troviamo così al cospetto di un lavoro che guadagna punti ascolto dopo ascolto, evidenziando particolari non notati in precedenza, ma che in questa “ricerca verso il nuovo” presenta alti e bassi. Se il trittico iniziale e la già citata ‘Critical Mass’ delineano i punti più alti del disco, le fasi finali di “Infernal Overdrive” non mantengono gli stessi picchi espressivi e qualitativi, abbassando, di conseguenza, il coinvolgimento e il trasporto dell’ascoltatore. Discorso a parte meritano invece ‘Chasing Dragons’ e ‘Voyage of the Wolf Raiders’, le due tracce più ambiziose del lotto e tra le canzoni dal minutaggio più elevato all’interno del disco. Se la prima può vantare una struttura articolata ma ben sviluppata, la cui unica pecca può essere la mancanza di una parte più diretta, che ne riduce l’assimilabilità, la seconda, invece, presenta alcuni stacchi e passaggi forzati, non garantendo un’evoluzione lineare alla canzone, che in qualche frangente farà storcere il naso.

 

Va comunque detto che con “Infernal Overdrive” i White Wizzard fanno un interessante ritorno sulle scene. Certo, come detto in sede di analisi, mancano quell’arroganza e quella sfrontatezza che avevano garantito il successo del debutto datato 2010, ma la quarta fatica della band americana mette in mostra una formazione che sta maturando e, pur rimanendo uno dei tasselli di spicco del revival ottantiano d’oltreoceano, sta provando ad andare oltre, per evitare di restare impantanata in un territorio che, passata la tendenza del momento, potrebbe portarla al dimenticatoio. Qualcosa va affinato, ma la strada sembra quella giusta. La speranza è che l’attuale line-up possa durare a lungo. Difficile immaginare un’evoluzione senza uno dei quattro elementi coinvolti in “Infernal Overdrive”. Tutto dipenderà dall’umore di Jon Leon, non ci resta che attendere. Intanto gustiamoci “Infernal Overdrive”, il disco, nonostante qualche aspetto migliorabile, non deluderà. Bentornati White Wizzard.

 

Marco Donè

 

 

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