Recensione: Inferno

Di Alessandro Calvi - 21 Febbraio 2012 - 0:00
Inferno
Band: Ecnephias
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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72

Terzo album per gli Ecnephias e terzo cambio di logo per la band. Quello che potrebbe apparire solo come un vezzo, in realtà, è solo l’ennesimo indizio (il primo, quello immediatamente visibile osservando la copertina del disco) di un continuo mutamento, di una continua evoluzione. Gli Ecnephias, infatti, non si sono mai fermati; fin dal loro primo demo, uscita dopo uscita, sono cambiati senza mai rimanere uguali a se stessi o, come si potrebbe dire, adagiandosi sugli allori.

In realtà per loro sarebbe stato facile lasciarsi un po’ andare.
Una volta conquistato il primo contratto con un sound che, al tempo, era piuttosto derivativo, sarebbe stato semplice fare come tanti altri gruppi. Rimestare sempre nello stesso calderone, riproponendo, CD dopo CD, gli stessi ingredienti, cambiando solo qualche dose qui e là, magari aggiungendo ogni tanto qualche spezia, pur senza esagerare. Forse, per certi versi, avrebbero anche potuto avere più fortuna, grazie ai tanti fan (anche italiani) sempre alla ricerca di qualche clone dei propri gruppi preferiti.
Invece loro sono progressivamente cambiati, anche in seguito a diversi cambi di line-up, tant’è che oggi non rimane quasi nulla degli Ecnephias degli esordi e, con questo “Inferno”, segnano un’ulteriore evoluzione del proprio stile e del proprio sound.
L’apertura è demandata, come negli album precedenti, a una intro. Sulle note di un pianoforte dalle tinte tristi e malinconiche di grande atmosfera, “Naasseni” ci trasporta fino a “A Satana”, prima vera canzone (nonchè video), dell’album. Colpiscono subito i toni epici e le tastiere di sottofondo, nonchè una linea melodica, comune a tutto il brano, estremamente orecchiabile e un po’ distante dai toni prettamente black che avevano contraddistinto le precedenti uscite. Conferma e al contempo novità di questo disco è, però, il ritornello. L’italiano era una lingua che aveva già fatto capolino nei precedenti CD del gruppo, ma in questa occasione prende a presto le parole dell’omonima poesia di Giosuè Carducci rendendola in una maniera che, credo proprio, il poeta toscano non si sarebbe mai aspettato.
L’uso di testi presi a prestito da opere di grandi scrittori non è una eccezione per la sola prima canzone, bensì pratica diffusa in quest’album. “A Stealthy Hand of an Occult Ghost” riprende la pressochè omonima “Súbita Mão de Algum Fantasma Oculto” di Fernando Pessoa, seppur traducendola integralmente in inglese. Ma anche “The Marriage of Heaven and Hell” di William Blake che compare in “Secret Ways”.
Un po’ meno semplice, invece, rintracciare le corrispondenze tra i testi degli Ecnephias e le opere di Davide D’Andrea, giovane scrittore italiano autore di una antologia di poesie intitolata “Catarsi di un’Anima Insonne” edita dalla casa editrice Il Filo nel 2009 (più facile, invece, individuare le connessioni tra poeta e band, infatti D’Andrea è Sicarius, tastierista del gruppo).
Come si diceva commentando la prima canzone, prima della digressione letteraria, il sound degli Ecnephias è ulteriormente cambiato rispetto all’ultimo “Ways of Descention”. C’è meno black nella musica della band (discorso valido per tutta la tracklist), mentre c’è più attenzione per la melodia e una certa orecchiabilità. Le chitarre suonano meno ruvide e grezze, prediligendo un suono più pulito e più vicino all’heavy che al black. Inoltre le tastiere sembrano avere maggiore importanza nella costruzione della canzone che, ancor più che in passato, sembra puntare sull’epicità grazie all’uso dell’organo, di partiture sinfoniche e cori. Meritevole di menzione a parte il pianoforte, strumento che dona sempre un quid in più alle tracce in cui compare.
Sulla prova di Mancan al microfono c’è poco da aggiungere a quanto detto in questi anni. Col passare del tempo è riuscito ad allargare progressivamente il suo registro di interpretazioni per venire incontro alle esigenze del songwriting che, ormai, richiedono di passare sovente dal growl allo scream, al clean, fino al recitato.
Piccola e ultima citazione per le due tracce “In My Black Church” e la bonus track “Chiesa Nera” che sono, in realtà, la stessa canzone, solo cantate in due lingue diverse: la prima in inglese, la seconda in italiano. Per una volta non vale la regola che vuole che i testi tradotti suonino ridicoli, al contrario “Chiesa Nera” sembra più sentita, più vivida e carica di emozioni rispetto alla corrispondente versione in lingua d’albione.

A soli due anni dall’ultimo “Ways of Descention” tornano a farsi sentire gli Ecnephias, un gruppo estremamente prolifico, ma che sembra, contemporaneamente, immune a cali di qualità. “Inferno” non segna solo la terza tacca alla voce album per la band potentina, ma anche un’ulteriore evoluzione stilistica (e di logo). Qualcuno la apprezzerà e qualcuno, come sempre, li preferiva prima, sono le regole del gioco, è ovvio. Non si può, però, che applaudire alla perseverenza con cui gli Ecnephias continuano sulla loro strada, seguendo la via di una evoluzione che sembra non fermarsi mai. C’è veramente tanta gente che dovrebbe prendere esempio.

Tracklist:
01 Naasseni
02 A Satana
03 A Stelthy Hand of an Occult Ghost
04 Buried in the Dark Abyss
05 Fiercer than Any Fear
06 Voices of Dead Souls
07 Secret Ways
08 In My Black Church
09 Lamia
10 Chiesa Nera (Bonus Track)

Alex “Engash-Krul” Calvi

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