Recensione: Innerscars

Di Alessandro Calvi - 6 Novembre 2004 - 0:00
Innerscars
Band: Lifend
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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80

Dopo una lunga permanenza nell’underground, la band milanese dei Lifend giunge finalmente alla pubblicazione del proprio debut-album per la Cruz del Sur Music. Personalmente sono rimasto un po’ perplesso dal fatto che solo ora qualcuno si sia finalmente reso conto delle potenzialità di questo gruppo che nella propria storia è partito da un death-tecnico impreziosito dalla voce pulita femminile per approdare infine, oggi, a una musica che esula quasi da qualsiasi catalogazione.

Rispetto alle precedenti auto-produzioni della band i brani che compongono “Innerscars” presentano un gran numero di novità sia dal punto di vista degli strumenti che delle sonorità. Una delle cose più interessanti a mio avviso è in particolare l’uso del sax, che sebbene in molti possano pensare non sia uno strumento adatto al metal, in questo caso mi sembra decisamente una delle scelte più azzeccate. Nei frequenti passaggi lenti e melodici, spesso tristi e atmosferici, la voce del sax riesce a donare a queste canzoni sfumature altrimenti impossibili.
Oltre a questo troviamo saltuari ricorsi all’elettronica, che risulta usata sempre in maniera molto accorta, non va mai a coprire e a snaturare la natura delle canzoni e lo stile della band. Per questo anche a un assoluto osteggiatore dell’uso dell’elettronica e dei synth come me, devo ammettere che non ha assolutamente dispiaciuto.

Passando a parlare delle canzoni, l’album si apre con la title-track “Innerscars”, un brano subito aggressivo e potente in cui subito incontriamo alcune delle nuove caratteristiche delle canzoni dei Lifend rispetto all’immediato passato. Il brano è aperto proprio da un giro di tastiera molto elettronico su cui poi si vanno a impostare chitarre, basso e batteria. Inoltre nel break lento e melodico centrale del brano, troviamo anche l’utilizzo della lingua italiana che finora non era ancora stata utilizzata dal gruppo milanese.
La seconda “Absence” presenta fin da subito il sax e qualche passaggio in italiano. Devo ammettere che con i brani di questo disco i Lifend hanno fatto dei passi avanti rispetto all’immediato passato davvero notevoli. Certo ora con una produzione più professionale sono in grado di dare corpo a molte idee che prima non avrebbero mai potuto rendere così bene, ma non è solo questo. L’impasto di tutti gli arrangiamenti e gli intrecci delle voci: femminile, clean, scream, growl, filtrata, rendono davvero benissimo e creano atmosfere davvero ispirate.
La quarta traccia “Shattering-Assurance” è considerata dal gruppo come probabilmente il brano più di stile avant-garde tra quelli del loro repertorio. In effetti devo però ammettere che la cosa, almeno a me, non ha assolutamente dispiaciuto. Al contrario è stato uno dei brani che più mi hanno interessato al primo ascolto di questo platter, nonostante qualche passaggio di elettronica e di voci filtrate (cose che normalmente io digerisco poco), la song fila via bene e si fa decisamente apprezzare.
“In Darkness I Bleed” comincia con un arpeggio di chitarra acustica accompagnata dal sax, si tratta di un brano strumentale veramente dolce e d’atmosfera. Forse una delle cose migliori partorite dai Lifend in questa occasione.
La sesta “Open Wound” rappresenta una mezza sorpresa di questo album, presente precedentemente solo su un video realizzato dai Lifend circa due anni fa in occasione di un concerto al Propaganda di Milano con Node e Novembre, la ritroviamo stavolta completamente riarrangiata e in parte modificata con nuove parti e l’aggiunta di vari passaggi di sax, oltre che ovviamente ri-registrata per l’occasione.
La palma come canzone più strana, e probabilmente più angosciante, spetta però a “Memorie” che comincia con un passaggio che ho trovato davvero claustrofobico. Le voci si sovrappongono in una particolare cacofonia, mentre sullo sfondo gli strumenti tessono arrangiamenti oppressivi, malati, soffocanti. Come è caratteristica di tutte le song dei milanesi, i cambi di tempo e di atmosfera sono assai frequenti e molto vari, ma poi si ritorna sempre sulle melodie dell’inizio, donando a tutta la durata della traccia questa atmosfera decadente.
La penultima “Spiral Dance” viene direttamente dall’ultimo MiniCD autoprodotto dalla band intitolato “Shattering Reality” e si tratta di uno dei due brani non composti espressamente per l’occasione dai Lifend. Nulla è cambiato dalla versione precedente, ma la nuova registrazione e produzione professionale rende la canzone quasi irriconoscibile.
Infine si chiude con “Congedo”, una breve traccia strumentale che mette termine degnamente a questo album.

Prima di chiudere passiamo alle critiche, ben poche a dir la verità, ma qualcuna c’è. La produzione e il mixaggio dei vari elementi è di solito molto ben realizzato, ma forse avrebbe meritato un volume un pochino più alto la doppia cassa della batteria. Spesso infatti viene un po’ coperta dalle chitarre distorte e nelle parti più veloci e aggressive avrebbe potuto dare un apporto notevole alla violenza dei suddetti passaggi. Oltre a questo però, che evidentemente è comunque stata una scelta della band, non c’è altro da dire.

Per concludere una delle migliori realtà dell’underground del nord d’Italia è finalmente uscita dall’ombra dell’ambiente underground forgiando un disco d’esordio veramente valido che si fatica davvero a credere una opera prima. La speranza è che molte altre band meritevoli seguano a ruota.

Tracklist:
01 Innerscars
02 Absence
03 Blood-Red-Pain
04 Shattering: Assurance
05 In Darkness I Bleed
06 Open Wound
07 Memorie
08 Spiral Dance
09 Congedo

Alex “Engash-Krul” Calvi

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