Recensione: Inside Out (Re-issue)

Di Vittorio Cafiero - 25 Maggio 2013 - 23:30
Inside Out (Re-issue)
Band: D.A.M.
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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90

Nell’oceano di reunion, ristampe, ri-arrangiamenti e riproposizioni che, sotto varia forma, hanno invaso il mercato negli ultimi anni, molte sono le band e i lavori che erano davvero attesi spasmodicamente dagli appassionati. Tante leggende, tanti gruppi di culto hanno deciso di mettere di nuovo a disposizione (in studio o dal vivo) il materiale che li ha resi famosi. In parallelo a queste realtà, sono stati rimessi sugli scaffali numerosi titoli di nicchia, che certamente non hanno fatto la storia del metal in quanto a riconoscimenti ottenuti, ma che meritano una doverosa riscoperta. Tra questi ultimi, un posto particolare spetta sicuramente ad Inside Out, opera seconda dei britannici D.A.M. (acronimo per Destruction And Mayhem, per i meno avvezzi alla scena thrash metal di “seconda fascia” dei bei tempi che furono). La band del Lancashire esordisce nel 1989 su Noise Records con il discreto Human Wreckage e, dopo una buona attività dal vivo (immortalata nella mitica VHS 3-Way Thrash in compagnia di Candlemass e Dark Angel) si ripropone nel 1991 con l’album oggetto della presente disamina, ri-edito oggi grazie allo splendido lavoro di Divebomb Records e ottimamente rimasterizzato da Jaime King (deus ex-machina alla console di tutti i lavori targati Between The Buried And Me, tra gli altri).

Inside Out, senza mezzi termini, è un esempio di puro UK thrash metal che spazza via con facilità la maggior parte dei lavori proposti dai gruppi della cosiddetta ondata “revival” degli ultimi anni. Fuori di polemica e senza voler nulla togliere ai giovani thrasher lodevoli per aver risvegliato l’interesse per il genere, credo sia praticamente impossibile trovare tra le nuove uscite in tale ambito la personalità percepibile tra “i solchi” di Inside Out. Per non parlare, poi, di un songwriting di altissimo livello lungo tutto l’album, privo davvero di filler o di momenti di stanca. Opportuno innanzitutto inquadrare il contesto; si parlava prima di thrash metal britannico, usando un’espressione mai troppo codificata, nella realtà. Ebbene, semplificando, il thrash della Terra d’Albione può essere visto come la revisione di quello tecnico e rotondo made in Bay Area, lontano dalla violenza della scuola teutonica di Kreator, Sodom e Destruction e arricchito, da un certo punto di vista, dai retaggi più classici della NWOBHM. Chi scrive ritiene che proprio i D.A.M., grazie al presente lavoro, rientrino di diritto (assieme a Sabbat, Xentrix ed Onslaught) nel novero dei massimi rappresentanti di questa scena, meno celebre rispetto alle sue contemporanee, ma altrettando interessante.  

Con un’apertura come Man Of Violence le carte sono subito scoperte, trattasi infatti del classico pezzo perfetto: veloce, potente, aggressivo, tecnico, orecchiabile quanto basta, dal testo a forte impatto sociale (violenza domestica), con le giuste variazioni sul tema che lo arricchiscono e, ciliegina sulla torta, con la voce di Jason McLoughlin che – assieme agli assoli di John Bury e Dave Pugh (poi confluito negli Skyclad) – è il vero asso nella manica della band: ipnotica, isterica, leggermente nasale in modo sufficiente da essere facilmente riconoscibile per originalità nella massa di voci improvvisate che a volte caratterizzano il thrash. In quanto alla chitarra solista, poi, oltre all’inappuntabile bagaglio tecnico, questa si caratterizza per l’ottima tempestività negli inserti, mai soltanto legati al solito assolo a 3/4 del pezzo, ma presenza costante nell’intero brano, pur senza essere stucchevole; basti pensare alla stessa opener, che già nei primi secondi vede uno splendido intervento della lead guitar, oppure al riffing sincopato che accompagna e sostiene l’inizio della strofa di Appointment With Fear e diventa colonna portante dell’intera traccia.

Ma al di là delle scelte puramente stilistiche, degli arrangiamenti e dell’esecuzione, quello che impressiona davvero in questo lavoro, assolutamente da riscoprire, è un songwriting solido, se non davvero impressionante, per tutta la durata dell’album: una Thought For The Day, benché pezzo meno brillante del cd, è pur sempre degna di nota per una struttura comunque lontana dal solito susseguirsi di strofa-bridge-ritornello e, a prescindere dalle considerazioni personali, introduce un trittico di canzoni oggettivamente stupefacente: Winter’s Tear, innanzitutto, oppressiva nelle sue parti lente e ossessionanti, che si alternano a stacchi duri ed insistenti; tregua ed attacco, proprio come nei più amari conflitti militari che il pezzo vuole richiamare alla mente e ai disturbi post-traumatici che ne conseguono. The Innocent One, in seconda battuta, altro pezzo originale nella sua costruzione, che si sviluppa attorno al succedersi delle strofe e, ancora una volta, si allontana dai soliti cliché del thrash metal, sia musicalmente (memorabile lo stacco lento e melodico a metà traccia), che liricamente (il testo è una critica compassata alla scelta dell’aborto come soluzione sbrigativa di una gravidanza indesiderata). My Twisted Mind, poi, più classica, ma dal tiro deciso, veloce ed aggressivo, idealmente adattissima alla rappresentazione dal vivo.

Basterebbero, appunto, gli ultimi tre pezzi descritti per garantire ai D.A.M. un giudizio assolutamente positivo e non solo, ma l’album riserva ancora qualche sorpresa: No Escape e Beneath Closed Eyes, ad esempio, sono episodi ben lontani dall’essere semplici filler. La pima, infatti, è la classica thrash song veloce e diretta, caratterizzata da un refrain accattivante, mentre la seconda, ancora una volta, esce di nuovo dagli schemi, con una struttura portante cadenzata su tempi medi e imponenti, intervallata da un break dirompente.

Il lettore più attento avrà notato che, nell’analisi dei pezzi e del contenuto di Inside Out, non si è mai fatto diretto riferimento ad altra band, disco o canzone di richiamo: questo è tutt’altro che casuale. I D.A.M. con questo secondo lavoro riuscirono infatti a dare alle stampe un’opera personale, originale seppur negli schemi del genere, di oggettiva qualità. Purtroppo, la celebre negligenza della Noise (chiedere “referenze” a Coroner, Deathrow, Mordred, etc) manifestatasi proprio nel momento di declino del classico thrash metal segnarono la fine della band, soltanto ultimamente rimessasi timidamente in attività. La ristampa della Divebomb Records è quindi un must per ogni thrasher che voglia pregiarsi di tale appellativo e un’ottima opportunità per chiunque abbia voglia di scoprire un disco stupefacente, una band talentuosa e dell’ottimo metal.

Vittorio “Vittorio” Cafiero

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