Recensione: Inside The Electric Circus

Di Alessandro Zaccarini - 12 Aprile 2005 - 0:00
Inside The Electric Circus
Band: W.A.S.P.
Etichetta:
Genere:
Anno: 1986
Nazione:
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85

Hang on for your life, the animals are all insane.

Metà anni ’80: sfacciati e provocatori, incuranti di quei valori perbenisti tanto cari all’America puritana, e soprattutto reduci da due album che hanno risvegliato gli istinti animaleschi di una buona fetta di metalheads, i W.A.S.P. sono sulla bocca e nelle orecchie di tutti. Blackie Lawless, fiero condottiero del quartetto californiano, è diventato ormai un’icona e la carriera della band pare essere in piena parabola ascendete.

Tra una denuncia qua e un predicatore là, durante il luglio 1986 la formazione si ritira a Los Angeles ai Pasha Music House di Hollywood per registrare il terzo album della propria carriera e studiare un nuovo piano di assalto agli States e al vecchio continente. Il piano avrà successo e li porterà a suonare da spalla a band come Slayer e Iron Maiden… e in quel di Castle Donington per il Monsters Of Rock del 1987.

Un paio di cambi in line-up che muovono Blackie Lawless dal basso alla chitarra ritmica e si può cominciare. Il lupo perde il pelo ma non il vizio, e un intro molto ‘horror ottantiano di serie B’, a base di musica di giostre e vocione, ci conduce alla bellissima Inside the Electric Circus. La title-track è un pezzo trascinante e veloce nella migliore tradizione W.A.S.P. e fa scomparire, almeno in parte, i fantasmi di chi avvertiva dietro il calo di “bestialità” di The Last Command una maturazione e un cambiamento imminenti. Il parziale cambio di rotta ci sarà, ma è ancora troppo presto: c’è ancora tempo per godersi i W.A.S.P. selvaggi e irriverenti della grande I Don’t Need No Doctor, udite udite, pezzo che non vede il buon Lawless in sede di songwriting ma nasce da una collaborazione della triade Ashford/Simpson/Armstead.
Il disco ha già sparato le due cartucce migliori proprio in sede d’apertura e si appresta a consumare la terza con il riffing molto ‘Ac/Dc post Back in Black’ di 9.5. – N.A.S.T.Y.: altro classico e primo singolo uscito da questa terza fatica di Blackie e soci. Non per questo, però, nel resto del disco mancano pezzi degni di nota: c’è  la spensierata Restless Gipsy e ci sono i lead orientaleggianti di King of Sodom and Gomorrah; c’è una Sweet Cheetah nella quale risuona alla lontana la grandiosa L.o.v.e. Machine, c’è la classica cavalcata ritmica in palm-muting di I’m Alive e c’è l’ottantiana Mantronic che di tanto in tanto mostra passaggi degni delle ballad del combo americano. Il tutto, ovviamente, nel pieno rispetto degli stilemi classici dei pervertiti sessuali degli anni ’80.
Menzione di merito per Easy Livin, gradevole cover/rivisitazione del capolavoro degli Uriah Heep (vedere l’immortale Demons & Wizards per i blasfemi).

Per i fan dell’hard rock grezzo e immediato questo è, come buona parte della produzione che porta questo monicker in copertina, un acquisto obbligato. Per gli altri può essere un più che piacevole continuo dell’esperienza intrapresa con i due album precedenti, veri must della prima fase dei gloriosi W.A.S.P. di inizio carriera.

Tracklist:
01. The Big Welcome
02. Inside the Electric Circus
03. I Don’t Need No Doctor
04. 9.5. – N.A.S.T.Y.
05. Restless Gipsy
06. Shoot From The Hip
07. I’m Alive
08. Easy Living
09. Sweet Cheetah
10. Mantronic
11. King of Sodom and Gomorrah
12. The Rocks Rolls On

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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