Recensione: International Blackjazz Society

Di Andrea Poletti - 23 Novembre 2015 - 0:02
International Blackjazz Society
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2015
Nazione:
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Avete letto bene, c’è scritto avantgarde  come scelta di genere proposto; il “non genere” per eccellenza nel mondo metal, la sintesi dell’anarchico, dell’intollerante, della sperimentazione oltraggiosa e di tutto quello che nel bene o nel male il progressive non potrà mai raggiungere. Sperimentare mandando a quel paese i confini preposti anche solo dal disco precedentemente creato dalla band in questione , sconfinare in valli sperdute dove l’unica indicazione porta come nome e cognome: “Per aspera, ad astra”. Moltissimi gli esempi di band avantgarde degli ultimi anni, tanti dischi, tante realtà, tante conferme e sorprese ma nessuna di queste riesce a surclassare la storia degli Shining (quelli della Norvegia sia chiaro) che sono passati dal classico album strumentale di jazz – semi acid jazz di Where the Ragged People Go per sovvertire ogni qualsivoglia certezza attraverso il mirabolante Blackjazz del 2010. Cinque anni fa per molti c’è stato il primo approccio con questa schizofrenica band norvegese, gli unici commenti contrastanti erano sulla scelta del nome mentre il parare unanime sulla musica proposta portava in dote una ventata di freschezza nel circuito. Qualche anno dopo One One One ha nuovamente plasmato la proposta dei nostri offrendo una dinamicità maggiore, una dose maggiore di elettronica ed una produzione sempre più scarna e marziale. Il groove lo si sentiva in ogni brano, bombardamenti massicci di isteria industrializzata non hanno fatto altro che accrescere il numero dei seguaci nel mondo metal, attraverso un pubblico sempre più aperto ed affamato di contaminazioni e distorsioni sonore. Ma Internation Blackjazz Society riuscirà nell’arduo compito di farsi nuovi adepti oppure no? Lo scopriremo dopo la pubblicità.

 

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Bene, dicevamo, come suona questo International Blackjazz Society? Decisamente Shining, il sound non è stato modificato così radicalmente da snaturare la realtà di una band pressoché affermata, l’impatto più evidente è dato dall’inserimento di varianti dinamiche che rendono le canzoni ancora più ostiche e di difficile decifrazione rispetto al passato. Un flusso costante di industrial combinato con infiltrazioni di avantgarde jazzato che raccontano più che mai quanto oggi gli Shining stiano ampliando il loro spettro visivo. Molti i richiami a band quali Nine Inch Nails, Ministry, White Zombie e Marilyn Manson, anche se tangenzialmente quest’ultimo pone le basi involontarie per diverse strutture compositive; quello che sopra abbiamo scritto in merito alla rivendicazione dell’essere avantgarde dentro questo disco prende connotati ben differenti dalla semplice esplorazione musicale, v’è contaminazione pura, intrecci sonori e mescolanze che portano ad ascolto finito ad ottenere un vastissimo meltin’ pot di sonorità che piacciono e deludono contemporaneamente. Ciò che salta di più all’orecchio difatti è quanto l’influenza di alcune band cardine del mondo industrial siano state confluite all’interno di International Blackjazz Society in maniera così pesante da risultare quasi d’ostacolo. La crisi identificativa non è ancora presente, essendo canzoni quali The Last Stand, Burn it All, Last Day o di tipica matrice Shining; manca, o è stata persa lunga la strada, quella verve che rendeva ogni brano unico in quanto tale, ogni cambio tempo meritevole di una personalità bipolare dove il jazz sfociava nel metal come mai era stato fatto. Ora l’ombra, l’alone sempre ben presente nelle tracce di Mukeby & Co. è contaminato, inflazionato e desaturato di quel privilegio che rendeva tutto immancabilmente Shining al 100%. Indubbiamente il pacchetto funziona alla perfezione, non stiamo parlando di un brutto disco o di un passaggio a vuoto poiché House of Control, Thousand Eyes o la conclusiva Need sono pezzi da novanta che meritano molteplici applausi; brani che riescono a farti comprendere quando, se messe da parte le volontà commerciali i nostri riescano ancora a sfornare pezzi da 90 con una facilità ed una spontaneità impossibile per molti altri. Sono il nuovo che avanza ma non per questo bisogna concedergli tutto e permettergli ogni piccolo passo falso o idolatrare ogni passaggio riuscito. Altro aspetto da segnalare è anche la produzione, ancora più scarna e meno stratificata, figlia di una volontà quanto mai da parte della band, di radere al suolo ogni presenza umana, rendendo il tutto più che mai robotico e meccanizzato, dove il senso di appartenenza ad un album viene a perdersi in pochissimi istanti dopo aver premuto play. La prova dei singolo è da applausi, anche se come sappiamo qui il compito di tenere le redini del comando è tutto nelle mani di Mr. Munkeby; lui decide lui pone le direttive, lui è gli Shining e poco altro.

 

Album come questo non cambiano la sorte del metal-avantagarde-industrial o qualsivoglia forma di musica sia ad esso correlata. Le influenze sono quelle che rendono il tutto leggermente più acerbo e maleodorante, come un bellissimo costosissimo e preziosissimo vino che ha quel retrogusto leggero di tappo. Un dispiacere al palato ed al portafoglio. Buono, ma nulla più questo nuovo International Blackjazz Society porta con sè una domanda: è ancora tutto sincero e spontaneo, oppure stiamo valicando il muro del costruito? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Genere: Alternative Metal 
Anno: 2018
73