Recensione: Into The Wild

Di Angelo D'Acunto - 26 Aprile 2011 - 0:00
Into The Wild
Band: Uriah Heep
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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79

Fare anche solo un breve riassunto della storia di una band come gli Uriah Heep sembra essere una cosa piuttosto inutile, contando anche che non si tratta certo dell’ultimo gruppettino arrivato al suo esordio (per fortuna, aggiungerebbe anche qualcuno). Quindi, dando per scontato che chi si appresta a leggere queste pagine sa già tutto, o quantomeno si è preso la briga di documentarsi sul gruppo in questione, non ci resta che andare, come si suol dire, “diritti al sodo”, concentrandoci magari solo ed esclusivamente sui tempi più recenti di quella che, a conti fatti, è una delle band più longeve e prolifiche della storia del rock.

Dopo un disco come Wake The Sleep, che si è fatto attendere per ben dieci anni, seguito da una Celebration uscita per festeggiare i quarant’anni di carriera della band, più qualche bootleg di troppo (come l’inutilissimo Live In Budapest del 2010), la band guidata dall’inossidabile Mick Box torna sul mercato consapevole del fatto che non si è mai troppo vecchi per continuare a comporre buona musica e, non da meno, forte di un contratto con la nostrana Frontiers Records. Del resto la band è piuttosto compatta grazie a tutti gli elementi, con un Bernie Shaw (classe 1956) che, più di tutti, sembra non sentire il peso degli anni che gravano sulle spalle.

E allora? E allora gli Uriah Heep, da un certo punto di vista, come era già successo in occasione del disco precedente, rimangono fedeli solo ed esclusivamente a loro stessi, con un sound che solo in alcune piccole parti, e soprattutto in questa occasione, sembra tendere verso lidi più “moderni”. Ne è un esempio l’iniziale Nail On The Head, primo singolo estratto dal disco e, sinceramente, uno dei pezzi più brutti e banali mai scritti dal gruppo. Comincia già a rimettere in ordine le cose la successiva e turbolenta I Can See You, per poi lasciare spazio a tutto lo splendore di una title-track (dove le tastiere di Phil Lanzon compiono il loro lavoro migliore) che si guadagna da subito il premio come highlight assoluto dell’intero lavoro. Quel che resta è una sfilata di brani composti a regola d’arte come una Trail Of Diamonds a dir poco splendida soprattutto nella parte iniziale, una T-Bird Angel azzeccatissima nei suoi refrain, o anche il gran finale letteralmente da brividi di Kiss Of Freedom. Pezzi convincenti, certo, ma che si alternano ad altri brani, come l’anonima Money Talk ad esempio, che senza essere brutti, sembrano più che altro messi lì tanto per “far numero”; e in questo caso è grazie anche ad un pizzico di mestiere se i pezzi in questione si limitano “solamente” a zoppicare piuttosto che trovarsi nettamente indietro rispetto al restante della tracklist.

Quarant’anni di carriera sulle spalle e non sentirli. Into The Wild è comunque un disco decisamente inferiore al precedente, ma che in ogni caso ci mette di fronte ad una band che, come già ampiamente sottolineato, dimostra soprattutto di essere ancora in grado di comporre buona musica e, non da meno, di non volerne proprio sapere di farsi da parte (in barba alle tante giovani leve che faticano sempre più a mettersi in mostra).

Angelo D’Acunto

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Tracklist:

01 Nail On The Head
02 I Can See You
03 Into The Wild
04 Money Talk
05 Trail Of Diamonds
06 Lost
07 Believe
08 Southern Star
09 I’m Ready
10 T-Bird Angel
11 Kiss Of Freedom

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