Recensione: It

Di Daniele D'Adamo - 1 Luglio 2013 - 19:33
It
Band: Iliac Thorns
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
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Band nuova di zecca (2010), gli Iliac Thorns impiegano un battito di ciglia, corrispondente alla pubblicazione dell’EP (“Prevailing Shapes Of Hell”, 2012), per farsi notare da una label in piena forma come l’Inverse Records e quindi dare alle stampe, senza indugio, il debut-album: “It”.

Un disco il cui valore complessivo è inversamente proporzionale alla misera quanto poco accattivante, se non dire orribile, copertina. Il combo finlandese, difatti, pratica il death metal – e sin qui non c’è nulla di strano anzi – , ma lo in fa in modo così personale da catturare l’attenzione al primo ascolto. Solleticando così una sostanziosa curiosità per qualcosa che, sin’ora, non aveva trovato molti altri riscontri, in giro per i territori del metal estremo. Non che con ciò occorra guardare agli Iliac Thorns come a degli inventori di un nuovo genere, o a degli inarrivabili geni che abbiano appena sfornato un capolavoro. Tuttavia, senza incartarsi da soli in assurdi ammennicoli tecnico/compositivi, Samu Haatainen e i suoi compagni riescono con naturalezza e convinzione a dire lo loro, con la giusta dose di personalità, in un ambiente saturo all’inverosimile sia di gruppi, sia di opere.      

E lo fanno inventandosi un approccio al death quasi old school, ma comunque riottoso e ribelle, condito da cospicue dosi di polveroso rock’n’roll da strada. Non finendo, però, a far parte della schiera di quelli che praticano il cosiddetto ‘death’n’roll’, ma discostandosi da essi in virtù del fatto che a contaminare il genere primigenio sia il grunge, parente stretto del metal della prima metà degli anni ’90. È un’interpretazione o meglio una sensazione magari poco condivisibile, questa, poiché rimanda a echi di suoni e memorie lontane invece che a un’analisi magari chirurgica. Il tocco di Antti Tani, però, seppur capace di accelerare sino al massacro dei blast-beats, è di quelli a ‘rullante aperto e piatti fragorosi’. Cioè, caratteristico del ritmo dettato, ai tempi, da Soundgarden e Alice In Chains. Compreso il senso di languore determinato, appunto, dall’avanzare di (apparentemente) stanchi e trascinati pattern di batteria (“Itsetuntosi”).

Lo stesso Haatainen assieme all’altro chitarrista, Ilkka Lönnqvist, comunque, riportano costantemente il mood in direzione di una marcata aggressività grazie all’intreccio di un rabbioso e lavandinico (sic!) growling (“Brutal Seizure”) perennemente intersecato a uno sguaiato screaming. Lasciando davvero poco spazio a intrecci melodici come, invece, riportato nella presentazione del CD curata dall’etichetta discografica. A parte la già menzionata “Itsetuntosi”, difatti, non si percepiscono molti altri passaggi particolarmente armonici che, di conseguenza, non alleggeriscono per niente una proposta diretta, idrofoba e distante dall’aggettivo ‘accattivante’ (“Euphoria Lost”).

Purtroppo, il processo compositivo appare ancora acerbo e involuto per poter assegnare a “It” la palma di album completo e finito sotto tutti gli aspetti. Così come salta subito all’occhio la freschezza di uno stile dirompente e tutto sommato inedito, non passa inosservata, pure, la difficoltà del quartetto scandinavo di creare canzoni che lascino il segno. Nella sua brevità, il platter non sembra riuscire a posizionare in vetrina qualcosa di memorabile. A parte, forse, l’ormai nota “Itsetuntosi” che, a questo punto, può prendersi come modello che i Nostri dovranno obbligatoriamente seguire, se vorranno bilanciare la loro innata predisposizione a elaborare un sound vincente a un songwriting, al momento, perdente.

Questa strana discrasia che taglia la formazione di Kotka a mo’ di Giano Bifronte sottolinea una debolezza di fondo del gruppo stesso che, si può supporre concretamente, potrà essere sanata all’aumentare dell’esperienza. Agli Iliac Thorns, e solo a loro, la risposta a questa critica, per migliorare oltre il giudizio di abbondante sufficienza che si può assegnare a “It”.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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