Recensione: Iter Charontis

Di Daniele Balestrieri - 14 Maggio 2005 - 0:00
Iter Charontis
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Anno: 2003
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76

Arrivano niente meno che da Catanzaro Lido questi Iter Charontis, gruppo che già gode di una certa popolarità nella scena black underground e largamente apprezzato da chi ha avuto modo di partecipare al loro sfortunato live di Catanzaro (classica dimostrazione di come esibire i gruppi giusti nel luogo sbagliato).

Angosciosa, come la loro musica del resto, è la storia che contraddistingue la formazione di questa band, sempre in costante combattimento contro la chiusura mentale di un luogo dove è tutt’altro che semplice formare e mantenere una band che va contro tutti i crismi della società bigotta moderna e conservatrice del sud Italia. Eppure la loro forza d’animo, la loro voglia di combattere non tanto a spada sguainata ma trascinando la loro nera ombra sulle strade, sulle valli e sulle menti, mi ha coinvolto a tal punto da riuscire a trovare una serie di concatenazioni positive nel loro lavoro.

In maniera barocca, quasi rinascimentale, un po’ gotica, il mastermind e cantante Zergo ha fegato e pazienza da vendere, rinchiuso nella sua stanza senza sole dove coltiva le ombre della sua psiche e le riversa come un fiume nero nella sua musica.

Il black proposto è di classica scuola scandinava, ma la genialità – e grande punto a favore – risiede nel creare i testi in italiano e latino. Ed era pure ora che qualcuno di italiano riprendesse, stile Spite Extreme Wing, a combinare il positivo del black – ovvero il lato musicale – con il positivo della terra Italica – ovvero la grande tradizione linguistica e spirituale.

A dire il vero la similitudine con il vero black in stile inner circle si completa nella prima traccia, “Mors”, una gelida staffilata che non sfigurerebbe in Transilvanian Hunger, grazie allo scream molto regolare di Zergo che ricorda quello dell’immortale Nocturno Culto, e l’apertura acustica che riporta alla mente le felici introduzioni di Bergtatt e la violenza inusitata di Nattens Madrigal degli Ulver. Vero cuore, in realtà, di tutto il disco è la stupenda Lux Personata Umbra, enorme track di quasi 12 minuti in cui sorge la vera personalità degli Iter Charontis: insieme a un black decadente, apocalittico e marcio vive (o meglio muore) una vibrazione triste, malinconica e devastante che si sposa perfettamente con lo stato d’animo del mastermind, ben espresso nella loro informativissima homepage. Tutto il demo si regge in un equilibrio di riff minimali, trascinati e ripetuti, con qualche sprazzo di originalità che li spinge verso il black distruttivo di stampo teutonico stile Nargaroth e perché no, anche qualche rimando ai primissimi lavori dei Cradle of Filth.

La produzione è opaca e disturbata, in perfetto stile Ulver. Francamente va benissimo così, è tutto fuorché un punto di demerito. Il loro black risalta in questa produzione offuscata, e probabilmente non avrebbe lo stesso mordente con una produzione cristallina. Se avranno mai intenzione di pubblicare un secondo lavoro (alle porte, peraltro) con una produzione uguale, non sarò di certo io a puntargli il dito contro e a chiedergli di migliorare la produzione ‘per amore del black metal’. Chi ama il black marcio e nichilista non può non amare la produzione casalinga; chi non ama questo genere di black può anche rivolgersi altrove.

Non troverete un trionfo di estro e creatività, anzi, i veri cultori del black conosceranno ogni riff ancora prima di aprire il demo: ma è proprio questa una delle parti più affascinanti di questo genere di produzione. Con quella gemma di Lux Personata Umbra e con dei bei punti d’appoggio come la parte terminale, ipnotica e violenta, di “Audi Hetum”, questi Iter Charontis hanno posto la chiave di volta di un progetto che, se ben sfruttato ed elaborato, potrebbe portarli lontano – sempre che la lontananza sia un fine indispensabile di un black metal così introspettivo e nichilista.

TRACKLIST:

1 – Mors
2 – Interitus Tempori Momenti
3 – Audi Fletum
4 – Lux Personata Umbra

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