Recensione: IV

Di Alex Casiddu - 15 Giugno 2013 - 14:59
IV
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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77

Il chitarrista Aldo Giuntini giunge alla quarta prova di studio col suo Giuntini Project, dal titolo tanto semplice quanto efficace: “IV”.
Anche stavolta l’axeman italiano si fa affiancare da Tony Martin – già voce dei Black Sabbath – e presente anche nell’album precedente, singer che ben si adatta alle sferzate hard & heavy sprigionate dalla chitarra di Aldo.

Sono sufficienti i primi secondi di “Perfect Sorrow” per ritrovarsi in pieni anni 80: soprattutto per merito del frontman inglese e della sua timbrica – graffiante ed espressiva – oggi come trent’anni fa.
Le seguenti “Born In The Underworld” e “Shadow Of The Stone” si presentano con uno stile che ci porta a scoprire le vere fonti d’ispirazione di questo progetto: Rainbow, Dio e Black Sabbath…e non potrebbe essere altrimenti.
In queste, come in altre composizioni, l’aura protettrice di R.J.Dio è più che mai presente e Tony Martin dimostra d’essere uno tra i migliori ad aver raccolto l’eredità del compianto Ronnie.
Che resta, in ogni modo, inarrivabile da chiunque.

“If The Dream Comes True”, con le sue ritmiche frizzanti e disinvolte, è la classica hard rock song, nella quale, oltre alla voce del cantante, si apprezzano i chorus ed il ritornello melodico: un vero binomio vincente.
Un’intro epica fa da preludio a “The Rise And Fall Of Barry Lyndon”: brano strumentale dove il nostro Giuntini ci delizia – per quattro minuti e mezzo – con un pezzo a metà strada tra Iron Maiden e Stratovarius, che riesce nel difficile compito di non annoiare, facendosi apprezzare invece per la sua varietà e imprevedibilità.
L’album, nel complesso, non ha particolari sussulti o episodi che fanno gridare al miracolo ma, se da una parte non ci sono canzoni che spiccano, dall’altra è bene dire che ogni traccia di “IV” si equivale, assestandosi su livelli di qualità veramente notevoli.

Sul finale troviamo un altro strumentale dal titolo “Last Station Nightmare” e, semmai ce ne fosse bisogno, per l’ennesima volta abbiamo la dimostrazione che il guitar hero italiano, anche in questi episodi, preferisce regalarci una “canzone”, anziché una prova narcisistica delle proprie abilità chitarristiche.
L’heavy “How The Story Ends” e la dinamica “The Truth Never Lies” ci portano alla fine di questi cinquantasette minuti in cui la classe di Giuntini ha creato un connubio perfetto con la voce di Tony Martin ed il resto della band, dandoci la possibilità di fruire di un disco ben suonato e composto e gradevole sotto tutti i punti di vista.

Anche stavolta, il buon Aldo, ha dimostrato come si possa restare ancorati al passato, senza nessuna innovazione di sorta, proponendo tuttavia un prodotto godibile e originale.
Ed ovviamente, vista la buona riuscita di quanto ascoltato, restiamo in trepidante attesa del prossimo capitolo a nome Giuntini Project.     

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