Recensione: Järtecken

Di Stefano Usardi - 21 Settembre 2019 - 10:00
Järtecken
Band: Ereb Altor
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2019
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
77

Järtecken”, ottavo album della compagine svedese nota ai più come Ereb Altor, vede la luce proprio in questi giorni e arriva a due anni di distanza dal precedente “Ulfven”. Considerando che il primo album dei vichinghi è datato 2008 ci troviamo davanti a ritmi decisamente sfiancanti per la maggior parte dei gruppi – si parla di una cadenza poco più che annuale – eppure va notato come il livello medio delle uscite discografiche dei nostri non si sia mai abbassato tanto da destare preoccupazione, e vi anticipo già che la regola è stata confermata anche con quest’ultimo nato. Per quanto riguarda la proposta musicale, nessuna grossa novità: il quartetto di Gävle prosegue con la ricetta che l’ha reso celebre, e cioè un viking metal cupo, sentito e atmosferico, fedele all’imprinting fornito dai Bathory più epici. Più volte, infatti, i nostri sono stati definiti (a mio avviso un po’ forzatamente) come i più degni eredi di Quorthon, e se nei precedenti lavori la componente bathoryana era piuttosto pronunciata, in questo “Järtecken” ho percepito un timido tentativo, da parte del gruppo, di prendere le distanze dal loro nume tutelare, per presentare ai fan qualcosa di meno devoto al verbo dello skaldo di Stoccolma. Andando un po’ più nello specifico, nei tre quarti d’ora di “Järtecken” si assiste a un continuo batti e ribatti tra inni epicheggianti, dominati da voci pulite e melodie solenni, e sfuriate maggiormente viranti alle radici black del genere, più grezze e per certi versi sguaiate, durante le quali le harsh vocals si appropriano della scena spezzando la gravitas dell’album.

L’album si apre con “Avgudadyrkans Väg”, cantata in lingua madre e perfetto esempio della musica nel quartetto: ritmi non troppo veloci, atmosfere cupe, fredde ma non prive di una certa ieratica solennità, inframmezzate da brevi frustate dall’oscuro retrogusto folk. Un arpeggio inquieto apre “Queen of All Seas”, che poi si sviluppa su velocità quadrate, marziali, scandite da riff ruvidi che donano alla canzone un rigore vagamente ipnotico. Gli squarci melodici innalzano il tasso di drammaticità del pezzo, screziandolo con un’atmosfera più ariosa che si tinge di epicità col sopraggiungere dei cori e del suono del corno. “Alliance in Blood”, invece, parte col piglio furioso di un pezzo smaccatamente black n’ roll, tutto riff burrascosi e strepiti belluini. Di tanto in tanto uno spiraglio più maestoso si fa largo nel marasma di riff, spezzando la muscolarità chitarristica con improvvisi rallentamenti guarniti dalla voce pulita. Il finale apre le porte a “Chained”, altro pezzo piuttosto dinamico in cui la voce pulita si alterna allo scream creando un brano arcigno, in cui le atmosfere solenni e cupe vengono messe per un attimo in secondo piano per puntare maggiormente sull’impatto. Si torna respirare aria minacciosa con “My Demon Inside”, le cui melodie cupe e ferali si innestano su un tappeto ritmico molto semplice ma dal retrogusto magnetico, ammaliante. Anche qui la voce si destreggia tra linee pulite ed aspri rantoli, confezionando un brano compatto, robusto e strisciante al punto giusto. Si torna ad accelerare con la bellicosa e affilatissima “Prepare For War”, dominata da ritmi agguerriti e sferzata dalle continue rasoiate delle chitarre che, seppur peccando in alcuni punti di ingenuità, mettono in mostra l’aspetto più black dei nostri senza, però, scadere nell’oltranzismo cacofonico fine a se stesso. Con “Hvergelmir”, introdotta da un arpeggio più dimesso, si torna a toni cupi, minatori. Il brano, in realtà, sterza abbastanza rapidamente verso ritmi più vivaci, salvo poi buttarsi nella lenta e plumbea solennità – che peraltro riesce così bene ai quattro svedesi – con l’ingresso dei cori che aprono la sezione strumentale centrale. Da questo punto in poi la canzone si fa maestosa, miscelando una certa drammaticità all’amalgama del quartetto vichingo e chiudendosi con un climax carico di pathos. Lo stesso pathos si ritrova nella traccia successiva, la lenta e uggiosa “With Fire in my Heart…”, in cui la cattiveria dei nostri viene mitigata da una vena di malinconia mai sopita che si mescola alle improvvise fiammate di rabbia della voce per creare un crescendo intenso, lento ma inesorabile, che sfuma di nuovo, nell’ultimo quarto della canzone, nella mestizia. L’arpeggio finale si carica di enfasi trionfale per traghettarci alla conclusiva “…and Blood on my Hand”, semplice outro strumentale in cui le melodie solenni e cariche di pathos sfumano, infine, nel rumore delle onde e di un tuono che si perde in lontananza.

Tirando le somme, “Järtecken” è un album solido, profondo e a suo modo suadente, anche nonostante qualche sbavatura qua e là; un album che si dimostra comunque capace di avvolgere l’ascoltatore nei momenti più atmosferici (a mio avviso i più convincenti) e di suonare la carica durante le sfuriate che lo punteggiano. Grazie a una resa complessiva che mantiene le sue promesse, “Järtecken” si pone come ulteriore tassello di una discografia, quella degli svedesi, povera di veri e propri passi falsi, e capace di incarnare alla perfezione un certo modo di intendere il viking metal. Ascolto consigliato soprattutto a chi vive di idromele, metallo e saghe nordiche.

Ultimi album di Ereb Altor

Band: Ereb Altor
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2019
77
Band: Ereb Altor
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2017
80
Band: Ereb Altor
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2015
70