Recensione: Jail

Di Fabio Vellata - 8 Aprile 2014 - 22:45
Jail
Band: Confess
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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78

Una miniera.
E no, non stiamo parlando del celebre successo dei grandi New Trolls, ma stiamo, piuttosto, riferendoci direttamente a quello che è ormai divenuta per gli appassionati di Hard Rock, la terra si Svezia.
Una miniera, per l’appunto.

Non passa mese, infatti, senza che si presenti sulla scena una nuova realtà proveniente da quelle lande che, con un carico di buone canzoni da sbattere in faccia al pubblico e notevole talento, tenta di dare la scalata al successo utilizzando le armi della melodia mescolata alla grinta, facendo rilucere per l’ennesima volta i sacri ed eterni dettami dell’hard rock.

Questa volta è il turno dei Confess, quintetto di Stoccolma per cui ha deciso di scomodarsi una label tutta tricolore, sagace e molto attiva sul mercato, come SG Records.
Quando si dice lungimiranza: con una miscela di suoni che ricorda da vicino Crazy Lixx e Crashdiet (via, nomi ormai da manuale per il genere!), i Confess sono effettivamente una bella pescata che può garantire, per certo, un buonissimo appeal nei confronti di un pubblico sempre più di nutrito ed attento agli stilemi tipici dell’hard rock stradaiolo vecchia scuola, con un approccio tutto moderno e contemporaneo per i suoni e le armonie.

Di numeri, i cinque svedesi, sembrano averne parecchi. Canzoni che scivolano via con gagliarda facilità, ritornelli aperti e canticchiabili, energia spinta e piglio da glamster incalliti, sono armi da battaglia che non sembrano nemmeno un po’ originali ma, come sempre, garantiscono gli esiti sperati, collezionando un buon numero di punti in una ipotetica scala di gradimento.
In tutta onestà, davvero niente male per una band semisconosciuta della quale si aveva sinora notizia di un solo album edito nel 2012. Al di là della consueta e finanche scontata buona perizia nel maneggiare gli strumenti, quello che maggiormente impressiona è il livello – maturo e molto ben equilibrato – cui il songwriting del gruppo riesce a mirare nella confezione di questo secondo capitolo intitolato “Jail”.
I brani paiono, infatti, tutt’altro che grezzi o frutto di un’istintività fine a se stessa: la ricerca dell’appeal melodico è evidente e denota un talento di primo livello nel tentare di fondere l’impatto granitico del rock selvaggio alla Crüe / Wasp, con le iniezioni di orecchiabilità vitali nel rendere un pezzo capace di accattivare ed invogliare ad un reiterato ascolto.

“Relationshit”, “Bloodstained Highway”, “Setting Sails” (delizioso l’intermezzo quasi irish-folk) e “Cardiac Arrest”, sono pallottole “intelligenti”, che deflagrano con la forza del rock, assumendo tuttavia un contorno ragionevolmente meditato, in cui sono i dettagli a fare (o almeno a tentare) la differenza.
Lo stupore in ogni modo, sovviene alle battute conclusive del cd, quando, repentinamente, il quintetto pare assumere derive al limite del progressivo in una traccia lunga ed articolata come “Intervention”.
Atmosfere drammatiche, divagazioni strumentali, armonie epiche: una metamorfosi singolare che un po’ spiazza, ma al termine conferisce un che di personale al disco, in tal modo, dotato di una varietà di stili in grado di non annoiare ed in buona parte sorprendere.

Per una volta, molto riuscita anche la cover posta a chiusura dell’album.
“What’s Love Got To Do With It”, notissima hit di Tina Turner, è un pezzo delizioso e con un chorus eccelso già di partenza, che qui viene reso in una versione Arena-AOR dal taglio onirico e sognante tale da non sfigurare nei confronti dell’originale.

Ottima la pensata di SG Records nell’assicurarsi le prestazioni dei Confess.
Il gruppo ha potenzialità realmente di primo piano, talento, qualche idea ed un interessante modo di concepire la materia Hard Rock.
Assolutamente da coltivare, insomma: le prospettive vanno tutte nella direzione di un nuovo grande successo “made in Sweden”.

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