Recensione: Jazz

Di Luis - 20 Aprile 2002 - 0:00
Jazz
Band: Queen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1978
Nazione:
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77

Questo qua recensito è probabilmente l’album più sottovalutato del quartetto britannico dei Queen, ma senz’altro, insieme all’ottimo precedente “News of the world”, è il disco più hard-rock della band. E’ il 1978 ed i Queen sono una delle realtà artistiche e commerciali di maggior rilievo nell’industria musicale; forti dell’ottimo successo del già citato disco precedente tornano in studio di registrazione ricostruendo il sodalizio col vecchio produttore Roy Thomas Baker (quello di “A night at the opera”). Da qui continuano le sperimentazioni sonore del gruppo, recuperando anche elementi che erano assenti precedentemente. I Queen appaiono in ottima forma (dopo un ’77 stratosferico e ricco di soddisfazioni) ed in particolare Mercury si dimostra uno dei migliori vocalist rock della sua generazione, destreggiandosi egregiamente su registri altissimi, ma anche su toni più caldi: è cominciata la maturazione del suo stile vocale, di sempre maggiore personalità. E’ stato anche un disco accusato dalla critica di volgarità, pretenziosità, eccessiva commercialità ed addirittura di essere un album fascista; in realtà il gruppo è sempre stato autoironico, smitizzando tutto ciò che luccica nel mondo del rock. Importante è questa affermazione di Freddie: “Le mie canzoni sono come i rasoi usa e getta. Ne usi uno e poi passi all’altro. Alla fine è tutto puro consumismo”, per cui le polemiche non erano importanti per il gruppo, l’importante era divertirsi e divertire. La copertina è tratta da un murales sul muro di Berlino che ha colpito molto la band. Ma parliamo delle canzoni di questo discusso album che è originale sin dall’inizio: “Mustapha” è un brano enigmatico in tre differenti lingue, basato su sonorità incalzanti hard rock che si alternano e si combinano con atmosfere orientaleggianti. Molto interessante nella sua particolarità ed originalità: ottimo Brian May alla chitarra. C’è la ricerca di nuove sonorità (quasi funky), che poi porteranno al successivo album “The game”, in “Fun it” e “More of that Jazz”, entrambi pezzi di Taylor di bellezza molto discutibile nei loro arrangiamenti assolutamente scarni e quasi banali. Comunque vi si trovano stili e generi diversi (come ormai è tipico nell’impronta stilistica dei Queen): ci sono due deliziosi esempi di musica soft (“Jealousy” e “In only seven days”), incursioni nel blues (“Dreamers ball”) e momenti rilassati e pop (“Leaving home ain’t easy”). “Jealousy” è una classica dolce ballata tipica dello stile Queen con un ottimo Freddie Mercury sugli scudi, nella sua lentezza è tra le migliori ballate del gruppo; “In only seven days” è una piacevole canzone nel tipico stile pop di Deacon, piacevole. “Dreamers ball”, cantata da Brian May è una canzone elettroacustica dello stesso chitarrista, che ricorda sonorità blues; banalotta risulta invece “Leaving home ain’t easy” che per gli ascoltatori italiani può ricordare Lucio Battisti. Da affiancare, in quanto doppio lato A del singolo di maggior successo dell’album, sono le scoppiettanti e hard rock canzonette “Bicycle races” e “Fat bottomed girls”. La prima, con un testo quasi demenziale, è molto divertente, un hard rock scintillante con ottimi spunti melodici e i soliti cori sempre strutturati in maniera perfetta; la seconda è invece un pezzo rock molto ironico, ma non molto originale, anzi a tratti mi annoia anche nel suo essere un po’ monotona. sono comunque due scorci di musica dei Queen molto solari e divertiti, senza troppe pretese, ma ben suonati, soprattutto “Bicycle races” di Freddie. Altissimo potenziale energetico è presente nella tiratissima canzone dura di Brian May “Dead on time”, dalla quale prenderà grandissimo spunto l’emergente “Eroe della chitarra” Eddie Van Halen. Coinvolgente ed ironica è la canzone rock, molto ritmata e veloce, “Let me entertain you”, pezzo forte di molti concerti successivi. Infine spendo due parole su quella che per me è la canzone più bella del disco: la coinvolgente, perfetta e forse un po’ sottovalutata “Don’t stop me now”, ballata un po’ rock e un po’ pop, sulle consuete ed efficaci sonorità di pianoforte-chitarra, con (nuovamente) un Mercury eccezionalmente efficace e trasportatore nel mondo eccitato ed eccitatore di questa bellissima canzone.
Altro precursore di molte idee Metal quest’album non è molto conosciuto ( è decisamente sottovalutato), ma esprime molte idee interessanti e può piacere anche ai “metallari” che non amano molto i Queen. Interessante notare come certe band nei tempi andati si divertivano a fare rock. Disco bello, lo consiglio, anche se senz’altro non è tra i cinque più belli dei Queen.

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