Recensione: Jupiter

Di Francesco Sorricaro - 9 Dicembre 2010 - 0:00
Jupiter
Band: Atheist
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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87

Dopo le reunion, con relativi come-back discografici, di Pestilence e Cynic, si completa con gli Atheist ed il loro nuovissimo Jupiter il ritorno della terrificante trimurti del technical death metal.

17 anni erano passati dalla pubblicazione di Elements, lo spiazzante canto del cigno datato 1993 che aveva lasciato la morte nel cuore degli appassionati del genere, per le potenzialità che quel platter fantastico esprimeva all’epoca e per il rimpianto di quello che poteva dunque essere il futuro di un combo del genere.

La reunion del 2006 è stata l’inizio di un’estenuante countdown verso l’attesissimo nuovo studio album che qui, finalmente, andiamo a recensire.

Cotanta aspettativa sicuramente nuocerà al primo ascolto dei più assatanati deathster in circolazione ma, senza dubbio, c’è da dire subito che la durata esigua di Jupiter racchiude tutta l’intensità e la primordiale genialità degli Atheist. La fuoriuscita di Tony Choy: genio, sregolatezza e storia del basso applicato al death, a poco tempo dalla pubblicazione del disco, avrà forse tolto un pizzico di imprevedibilità strumentale al tutto ma, di certo, l’architettura dei brani era ben definita da tempo, e si delinea come un attacco frontale e diretto in pieno vecchio stile della band di Sarasota. Del resto i più esperti ricorderanno le contaminazioni del succitato Elements come un episodio che esulava quasi completamente dai livelli fino ad allora raggiunti dal gruppo il quale, con i precedenti Piece of Time e Unquestionable Presence, dava sfoggio di una tecnica schizofrenica ma sempre al servizio dell’aggressione frontale, con sprazzi di genialità scelti e mai esagerati.

Probabilmente, anche per non rischiare troppo nel momento della rentrée, gli Atheist di Kelly Shaefer hanno scelto di focalizzarsi su quello che hanno sempre saputo fare meglio e bisogna dire che, in effetti, Jupiter suona Atheist al 100%.

Brani del calibro di Second to sun, Fictitious glide e Fraudolent cloth, in apertura, trasudano carica energetica da ogni nota, aggredendo l’ascoltatore in una morsa lacerante. La voce abrasiva di Shaefer è qualcosa di cui veramente si sentiva la mancanza: un marchio di fabbrica imprescindibile, la perfetta incarnazione della follia con cui si articola l’ottovolante infernale della loro musica.

Assenza totale di tempi regolari, frenate brusche e violenza assoluta nelle ripartenze: è questo che tutti si aspettano dagli Atheist ed è proprio quello che ha fatto godere le mie orecchie in più di una occasione. La produzione di Jason Suecof, incentrata su un suono potente e nitido, è stata abile nel districare alcuni passaggi tra i più complessi ed a donare corpo al sound dell’album, seguendo i dettami moderni ma mantenendo anche a tratti, nonostante tutto, il colore di quei tempi. Il basso, per l’occasione suonato dal chitarrista Jonathan Thompson con risultati comunque apprezzabili, si perde molto spesso nell’amalgama generale, forse in maniera voluta, ma quando ritorna in superficie e duetta con il drumming indiavolato di Steve Flynn l’adrenalina sale immediatamente a livelli altissimi. Il batterista, unico membro storico rimasto insieme al biondo cantante, è in una forma straordinaria e si prende in pieno il premio di “migliore in campo” con la sua infinita mole di lavoro svolto alla perfezione in ogni maledetta traccia in cui ha dovuto cambiare mille volte registro. Ascoltare Faux King Christ per credere!

Altra nota di merito assoluta va data, di certo, all’immenso campionario di riff chitarristici prodotto in questo Jupiter, ricchi di tutta la malvagia melodia che solo nel puro death floridiano è possibile ascoltare: un lavoro di qualità sopraffina che riesce a salvare egregiamente anche l’ascolto di brani un po’ meno esaltanti inizialmente come le conclusive When the beast e Third Person, le quali, pur non godendo del solito piglio messo in mostra precedentemente, possiedono dei finali e degli intermezzi strumentali da antologia. Da citazione sono senz’altro le sfuriate finali di Fictitious Glide e della stessa Third Person dove tutte le chitarre duellano su trame cangianti e veloci creando gustosissimi esempi di quanto detto sopra.

Ogni singolo pezzo degli otto complessivi meriterebbe un discorso a sè ma, se dovessi estrapolare quelli che più mi hanno colpito nel complesso, direi sicuramente Live and live again e Tortoise the Titan: la prima, tanto solenne nell’incedere dei suoi cori che richiamano alla mente i Nile, quanto pimpante e sinuosa nelle accellerazioni è di certo il brano più particolare del lotto; la seconda, aspra ed anthemica, mostra al mondo quanto la tecnica ed una velocità estrema di esecuzione possano andare all’unisono senza nuocere di un grammo all’apprezzabilità del complesso.

Una copertina quanto mai significativa e ben realizzata infiocchettano degnamente questo pacco- bomba targato Atheist: non un Elements parte seconda dunque ma, alla luce di un ritorno in questo stile e con questo stato di forma, si può naturalmente tornare a parlare di grandi prospettive future per questa band e dunque, chi se ne frega! Se poi si dovesse trovare un nuovo Tony Choy…… Speriamo soltanto di non dover aspettare ancora così a lungo per un nuovo capitolo di questa storia. Bentornati di cuore e tanto di cappello!

Francesco ‘Darkshine’ Sorricaro

 

Tracklist
01. Second to sun  04:02
02. Fictitious glide  04:51
03. Fraudulent cloth  03:22
04. Live and live again  03:37
05. Faux King Christ  04:00
06. Tortoise the Titan 03:38
07. When the beast  04:55
08. Third person  04:07

Durata totale  32:29

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