Recensione: Justice Is…

Di Andrea Poletti - 19 Gennaio 2016 - 0:05
Justice Is…
Band: Undawn
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2015
Nazione:
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42

La mediocrità, quale infausto essere immondo e puzzolente; la mediocrità quale pozzo senza fine dove in molti cadono dentro immeritatamente non riuscendo più a risalire pur ostentando sforzi sovrumani e meritevoli di giustizia. Peccato che come ci raccontano gli Undawn la giustizia non esiste più oggi e loro riescono ada avere più visibilità di altri, senza un perchè… perché esistono queste band? Un secondo album che ci vorrebbe raccontare attraverso dieci canzoni come il mondo è fatto di ingiustizie, affinità tra classi sociali ed un’umanità sempre più incline al decadimento storico-culturale. Ottimo lo spunto per dare voce ai silenziosi, meno ottimo volerlo riproporre attraverso questa musica, che conta una fila interminabile di banalità accatastate le une sulle altre da poter perdere l’occhio verso l’orizzonte. Secondo album dicevamo, seconda fatica sulla lunga distanza per i nostri Olandesi che cercano nel bene o nel male di trovare una personalità all’interno di quel movimento misto metal-core, misto melodic-death, misto pop, misto maremoti, misto degrado che oggi più che sorprendere per popolarità funge come accanimento terapeutico verso gli indecisi. Tagliamo la testa al toporagno ragazzi: Justice Is… è un album fastidioso e di difficile sopportazione dall’inizio alla fine; ne più ne meno un concentrato di cliché scopiazzati da questa o quella canzone appartenente al “genere” metal-core uscita negli ultimi anni. Ritornelli cantanti in clean con apertura melodica, breakdown a go-go e una dose infinita di riff riciclati dallo swedish di un tempo lontano per donargli una salsa proto-statunitense che non miete vittime… ad essere più precisi le vittime sono quelle persone come il sottoscritto che cercano di trovare del buono e qualcosa da salvare in questo mare di fuffa.Mi sembra di dovere fare l’avvocato difensore di un serial killer beccato con le mani in mano: “Guardi signor giudice, ovviamente il a caso è da vedere sotto l’aspetto emotivo, le vittime non sono state uccise realmente ma sono sfortunatamente cadute su un letto di coltelli e poi successivamente smembrate da condor peruviani, per caso proprio mentre era di stazionamento in via XXX il 35 marzo 1666. Il mio assistito ha avuto la sfortuna di essere li in quel preciso momento”.

Scherzi a parte, considerando l’aspetto prettamente musicale si può notare una volontà da parte della band di risultare personale e carismatica offrendo piccoli tocchi di maestria, rattoppati un po’ in giro, cercando di risvegliare l’attenzione assopita in un angolo sino a qualche secondo prima. Microdettagli che rendono canzoni come l’opener Coming Home, In The moment o Faceless di discreto appiglio per gli under-diciotto, senza però sconvolgere minimamente lo status psico-fisico di chi, come il sottoscritto, ha già sorpassato i trenta da un po’. Moving on, come Bond of Brothers sono due delle diverse tracce che presentano quel fastidioso prurito sottocutaneo formato da growl-scream seguito da ritornello poppeggiante e break down a non finire. Quasi dimenticavo quei micro assoli che fungono da collante tra un cambio tempo e l’altro, dove i nostri fanno il verso all’hardcore di un tempo con i cori di gruppo, mentre le tempistiche vengono incollate con il bostik senza dare una continuità a ciò che si è ascoltato trenta secondi prima, senza un briciolo di personalità. Che pena.Dovrei parlarvi della comparsa che Björn “Speed” Strid fa sulla penultima Never Giving Up, ma non serve a nulla per un risultato finale quasi sufficiente facilitando solamente ad accrescere l’ostilità nei confronti degli Undawn. Si aprono le scommesse sul bollino attaccato sul jewel case con su scritto “Guest Appearance by Strid of Soilwork – For fans of bla bla bla…”.

Chiudo, preferisco guardarmi le lezioni di matematica sulla rai alle quattro di mattina che raccontare di quest’album che meriterebbe oggi solamente di essere usato come bilanciamento per i tavoli traballanti. Se nel 2015 il mercato ci offre tali realtà, l’unica cosa da fare è quella di girarsi mettere su un classico black, death o che abbia intrinseco una sana dose di violenza e…hasta la vista amigo.

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